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Il saggio ripercorre la mistica dei teologi, fra aspirazione e «nuova scienza», opponendo - nel pieno Seicento - ai grandi ‘teatri dell’anima’ il deserto del 'nihil voluntatis': una linea che si sviluppa da Giovanni Bona a Pier Matteo Petrucci, dalle condanne del quietismo al risorgere della mistica nella rilettura di Ermes Visconti.
Nell'autunno del 1995 una straordinaria raccolta di testi secenteschi a cura di Carlo Ossola, L'anima in barocco (per le edizioni Scriptorium di Torino) apriva inconsuete prospettive sugli universi di una spiritualità multiforme e per molti aspetti ancora insondata.Fra i temi che meglio sembravano incarnare quella che Sabrina Stroppa avrebbe chiamato "la barocca unione di cima e abisso" si imponevano le sconvolgenti epifanie del "Nulla" nei culmini di una comunicazione che dalle cose pareva segnare il distacco estremo.Il clou di tali epifanie era rappresentato dall'annichilazione di mente e spirito nella "via mistica" dell'unione con Dio.Alla fenomenologia costituzionalmente paradossale del Nulla Ossola ha poi dedicato la preziosa raccolta di testi barocchi, Le antiche memorie del Nulla (Storia e Letteratura, 1997), coronata da un saggio importante; e sulle diramazioni della "via mistica" Sabrina Stroppa, che già aveva partecipato al lavoro a più mani conflui- C'è più di un motivo per raccomandare questo libro all'attenzione degli specialisti, e non solo di questi.Innanzi tutto, si tratta di un contributo notevolissimo alla conoscenza storico-letteraria e linguistica dell'età barocca, svelata qui in alcuni degli aspetti più qualificanti, e riposti, delle inquietudini che ne fanno l'antesignana della modernità.Fanno riflettere le pagine dedicate alla retorica delle opere mistiche, con le osservazioni suggestive, anche se non esenti da qualche rado sospetto di arbitrarietà, sulla presenza e sull'assenza di ossimori.Si apprezza la mole e la scelta pertinente dei testi di riferimento: dai teologi francesi tra Cinquecento e Seicento sottoposti dalla Stroppa a esperte letture, ai rappresentanti della cultura gesuitica la cui azione fu decisiva sulla civiltà letteraria e scientifica del XVII secolo, a eruditi
recensioni di Mortara Garavelli, B. L'Indice del 1999, n. 01
to nel volume L'anima in barocco, torna ora con un denso studio dal titolo arduo e affascinante: "Sic arescit".Oggetto della ricerca, il "discorso sulla teologia mistica": discorso secondo rispetto all'espressione diretta delle esperienze unitive, ma omologo a questa, perché come questa tende al continuo e all'indistinto, rifiutando le partizioni tipiche del ragionamento scolastico, mentre la trattatistica ascetica si sviluppa con ben concertato ordine in una disposizione per gradi e passaggi consequenziali.L'aver concentrato l'attenzione sulla forma letteraria in cui si manifestano le posizioni teologiche contrapposte della mistica e dell'ascetica ha permesso a Sabrina Stroppa di scoprire, e di mostrare con abbondanza di documentazione lodevolmente ampia e selettiva a un tempo, la corrispondenza tra sostanza dottrinaria e organizzazione testuale. Le ha permesso di fissare le coordinate della letteratura mistica italiana situandola nella cornice delle coeve esperienze barocche: "mentre il Cavalier Marino compone il poema che 'disgrega i pensieri' e il Tesauro dà di piglio alla loro riaggregazione con un non meno sterminato trattato (...), la letteratura spirituale italiana va cercando, nell'introversione, la via della brevità".Figura centrale un teologo di enorme prestigio nel secolo in cui visse e nei due successivi: Giovanni Bona, di Mondovì (1609-1674), cistercense, cardinale (fu uno dei papabili alla morte di Clemente IX), erudito autorevole.Nel suo limpido latino diede forma esemplare alla teologia mistica nella Via compendii ad Deum, per motus anagogicos et orationes iaculatorias (1657) e alla teologia ascetica nella Manuductio ad coelum (1658), e fu a quest'ultima opera che toccò la maggior fortuna, rinverdita ancora nel Novecento.Nella prima, che tratta della "via breve" per cui si arriva all'unione mistica con Dio, l'autore delinea inizialmente le differenze radicali fra i due "doni celesti" (ne riporto le parole nella traduzione della Stroppa): "Due sono le vie per le quali si giunge a Dio (...) La prima è chiamata 'scolastica', ed è quella ordinaria; l'altra 'mistica', ed è segreta (...) La prima richiede un lungo e minuzioso studio, e si addice a quei pochi che sono provvisti di grande erudizione; l'altra può essere percorsa sempre e in ogni luogo, e da parte di tutti.Quella è speculativa, e questa è pratica: la prima sta nell'intelletto, la seconda nella volontà (...) La prima è una via lunga, laboriosa e difficile; la seconda è breve, semplice, e facilissima".Il tracciato vertiginoso di questa scorciatoia e il suo "mirabile moto circolare (...) eternamente involgente dal bene verso il bene" hanno impegnato la studiosa in analisi sagaci, in intrecci di dati intertestuali di rara chiaroveggenza.Ne viene fuori un quadro vivido del Seicento mistico, nei tre capitoli della prima parte ("Compendium et progressus". La letteratura mistica nel Seicento italiano), fino agli estremi della "orazione di quiete", su cui verte la seconda parte ("Quies orationis et suspensio imaginis".Il quietismo italiano e la riflessione sul nulla), dove si ripercorrono nitidamente i contrasti dottrinari tra François Malaval, apostolo della "oraison de simple vue", e i gesuiti Segneri e Bartoli; contrasti sfociati nella condanna del quietismo.La terza parte del volume ("Amplificatio et secessus". L'esito della mistica delle aspirazioni nel Settecento e Ottocento) tratta dei percorsi attraverso i quali l'"afflato mistico" delle aspirazioni o giaculatorie si stempera nella settecentesca pratica devota dell'esercizio di pietà; e conclude con un esame critico, assolutamente nuovo, di come la teologia di Bona fu accolta nell'Ottocento, quando riletture e traduzioni privilegiarono le opere sue dedicate all'ascesi.Era caduta nella dimenticanza la parte mistica, come dire la sostanza e il lievito, della Via compendii, di cui sopravviveva, già a partire dalla fine del XVII secolo, solo la seconda sezione, quella che conteneva un corpus di aspirazioni.La sorte di quest'opera è indicativa della parabola compiuta dalla teologia a cui era dedicata: l'annichilazione della volontà sparita con la condanna del quietismo, l'orazione aspirativa "sopravvissuta e consegnata al Settecento, seppure snaturata sotto certi aspetti, e riformulata nel quotidiano".
e scrittori dell'Ottocento, come il conte Somis de Chavrie, Pietro Giordani, Ermes Visconti.C'è poi l'attrattiva esercitata dal tema, e non occorre evocare la nebulosa della new age per rendersi conto dell'opportunità di indagare sotto specie teologica, scientifica dunque, i cortocircuiti di energie intellettuali e volitive in cui consiste l'unione mistica. Tanto più se l'indagine si presenta con lo smalto di una scrittura di singolare eleganza.
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