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Questo volume del poeta abruzzese Daniele Cavicchia comprende il poemetto omonimo,scandito in sei sezioni,e poesie sparse,composte per lo più negli ultimi due anni. "Poemetto sapienziale",lo definisce nella sua dotta e partecipe prefazione il filosofo Sergio Givone, dedicato "all'elemento più inafferrabile:perché l'acqua è fonte,origine,scaturigine." Questa incantata,affabulatoria composizione in versi appare subito profonda, a tratti misteriosa,allusiva a realtà nascoste e rivelatrice di arcane verità.Si tratta probabilmente di un omaggio all'eterno femminino,inteso come fascino e grazia,fecondità e ispirazione. E' un dialogo,evidenziato anche dai diversi caratteri di stampa,tra due figure femminili-una presente,l'altra solo evocata- e diversi protagonisti maschili, forieri di un'inquietudine tormentosa,di una colpa non detta ma paralizzante. La signora dell'acqua suggerisce emozioni e si ritrae,sottintende e proclama con la solennità di un oracolo, per enigmi o frasi gnomiche:le sue divinazioni sono consegnate ai messaggeri in rotoli o in pergamene,letti alla luce di candele,in un tempo che è sempre attesa, e insieme confonde passato e futuro,lasciando il presente nella sua ombra. Musa,Pizia e maestra, vive immersa in un paesaggio perennemente mutante:a volte un bosco, a volte un deserto,o una casa spettrale. Il poeta dimostra di avere quasi visceralmente assorbito,oltre a una sua inconsolabile disperazione,una conoscenza approfondita di testi sapienziali antichi,dai presocratici alla Bibbia, ma anche la mistica medievale e islamica,per arrivare alle fiabe celtiche e a Yeats. In questo territorio dell'anima,dove non sussiste certezza e forse salvezza,Cavicchia cerca un'eco di parola che,come scrive Givone, sia "generatrice di senso":glielo può lasciar intuire la luminosa figura femminile,incarnazione della poesia e della maternità, promessa di ristoro e sollievo,polla che disseta nella desolazione dell'aridità, verbo che rompe il silenzio.
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