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È un libro che profuma di mandorle e vaniglia. L’esordio narrativo di Daniela Patriarca è un’opera sublime e straziante, un delicato ossimoro di speranza e rassegnazione. Ambientato in Sicilia all’inizio del ‘900, il romanzo presenta dei personaggi che incarnano alla perfezione le incomprensioni e le tensioni spirituali di un’epoca frastornata da grandi trasformazioni e sconvolgimenti. Sullo sfondo il sogno dell’America, l’illusione di rompere l’equilibrio dell’immobile ed estenuante quotidianità per abbandonarsi all’irrompere della fiumana del progresso. Protagoniste indiscusse di questo romanzo sono le donne. Forti, passionali e coraggiose ma anche tristi e rassegnate, imbrigliate nei loro ruoli rigidi e asfissianti che solo molti decenni più tardi sarebbero riuscite a scalfire. Donne che dalla loro apparente fragilità hanno tratto l’energia per non soccombere e spesso per vincere. Tre generazioni a confronto: il fantasma serafico della nonna Teresa; Giovanna disincantata e tormentata; le tre figlie Caterina, Nina e Maria emblema di una chimera realizzabile. Sole e abbandonate al loro inesorabile destino attenderanno invano il ritorno dei propri uomini dalla “terra della libertà”; in realtà Michele e Tommaso, marito e figlio, non vedranno mai più il sole della Sicilia e non sentiranno più l’odore di mandorli e agrumi. Due leitmotiv danno coesione all’insieme: l’estenuante attesa degli uomini, dell’emancipazione ma anche dell’amore; e l’immortale e implacabile speranza, fantasia recondita dell’animo di donne avviluppate nella propria solitudine. L’isola, con i suoi colori e le sue magie, con le sue attività agricole e marittime, è lo sfondo ideale per rappresentare la condizione di personaggi imprigionati in una fascia economica e sociale da cui è difficile uscire ma è l’ansia di costituire e difendere una grande tribù familiare che dona intensità ed armonia al romanzo. Clio Pedone
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