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Metafisico solitario, Cioran ha il dono, oggi improbabile più che mai prima, di mimetizzare il suo pensiero in un tono di superiore conversazione. Rumeno, da decenni a Parigi, scrive il francese più bello che si possa leggere. Da anni nelle sue pagine rintoccano le cose terribili, non medicabili: ma la lettura dei suoi libri è, per paradosso, corroborante; dalle sue parole si sprigiona una specie singolare di serenità. Dopo che la coazione storicistica ci ha disgustato della storia, Cioran riesce ad avvicinarci al passato per una via opposta: quella dell’insaziata curiosità, dell’occhio che cerca ovunque strane piante umane, obbedienti a leggi occulte di crescita e di decadenza. Infine Cioran è l’ombra che ci accompagna nella realtà di ogni giorno e la folgora nella sua smorfia perenne.
Questo «filosofo squartatore» riesce ad essere al tempo stesso uno «squartatore misericordioso», come scrive Ceronetti nel presentare – da affine ad affine – questo libro. Cioran conosce la precaria eleganza dell’Occidente, la sua leggerezza autodistruttiva e gli dèi che ha dimenticato. Contempla l’interminabile fine della storia, l’angoscia cieca del mondo per l’esaurirsi delle sue «riserve sostanziali d’assoluto», le uniche – nelle loro molteplici metamorfosi – che permettano di continuare a vivere. Impaziente di ogni cornice sistematica, di ogni pretesa di rassettare il caos, Cioran ama presentarsi in due forme che in questo libro appaiono felicemente giustapposte: quella del breve saggio, itinerario da un ignoto a un ignoto, solcato da continui barbagli, che possono investire Saint-Simon o l’epistemologia buddhista o il moderno «delirio dell’atto», e ogni volta di una luce definitiva; e quella dell’aforisma, dove la sua prosa opera una delicata, magistrale torsione di una incombente tradizione francese. Dati questi caratteri, e in particolare il salutare disprezzo verso tutte le buone intenzioni che aprono la via all’oppressione e all’ottundimento, non può non essere incompatibile con Cioran lo «stuolo infinito degli intelligenti non illuminati», che riempiono il mondo. Ma ormai molti altri sono giunti a riconoscere in Cioran uno dei rari scrittori essenziali del nostro tempo. Nelle parole di Ceronetti: «Un metafisico. Ma non distante, non eterico, non enigmatico: un amico. Un antidoto contro le stregonerie, contro le intossicazioni del secolo. Leggerlo è avvertire la presenza di una mano tesa, afferrare una corda gettata senza timidezza, avere alla propria portata una medicina non sospetta».
Un libro che fa male, stritola l'anima mettendo a nudo la tragicità che spesso permea l'esistenza. Se ne esce più cupi, ma decisamente più forti.
Veramente opera bellissima che si perde un pò durante la citazioni di aforismi apparentemente sconnessi tra loro. Da amante di Carmelo Bene non posso di riflesso non amare questa opera, contro la vita e contro la volontà di trovare un senso a questa vita. Opera da leggere assolutamente nella propria formazione filosofica e anti esistenzialista. Saggio/digressione sull'inevitabile declino della Storia e, conseguentemente, dell'uomo. Questo per 1/3 del libro. Gli altri 2/3 sono costituiti di aforismi, più o meno (s)collegati tra loro: l'odio/ossessione per il Tempo, la malattia, l'umanità come feccia, la morte pacificatrice. E' la prima volta che leggo Cioran; in alcuni punti mi sono trovato d'accordo con lui, in altri no, per niente. Che dire, mi aspettavo qualcosa di diverso. Ve lo consiglio.
Lo stile di Cioran parla da sé. Superlativo.
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