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”L’amore è un sentimento sopravvalutato” riflette Amelia, verso la conclusione del romanzo. (…). Amelia e Rosalia, madre e figlia, ciascuna a suo modo, hanno investito tutto sull’amore: un amore avaro per Amelia, concentrato su un unico uomo, un amore diffuso quello di Rosalia rivolto a molti uomini. Entrambe falliscono. Amelia trova rifugio in un’ostentata bigotteria, Rosalia in un ostentato e disinvolto edonismo. Amelia e Rosalia (…) sono personaggi che si imprimono nella mente, eccellentemente sviluppati dall’autrice. Forse sondato più a fondo quello di Amelia, ricco di umane contraddizioni, ma anche assai bello nel suo ingenuo cinismo quello di Rosalia che cerca in sempre nuovi uomini quell’ubi consistam esistenziale che le è stato rifiutato fin dalla gestazione. Sempre dissacrante, e spesso giustamente, Rosalia ricorda la Modesta di Goliarda Sapienza (…). Le figure maschili rispetto a quelle femminili (…) risultano più di sfondo: l’uomo amato da Amelia, Ettore; suo marito Franco; e anche il figlio Tommaso (…) che pur gioca una parte rilevante nel romanzo. L’uomo o è sostanzialmente assente o si considera usufruttuario del corpo della donna (…) o, per converso, rilutta al ruolo virile (…). Amelia riscatterà la sua avarizia affettiva (…) scrivendo un diario nel quale cerca di mettersi a nudo, diario che farà da ponte, dopo la sua morte, con la figlia e il nipote, i quali, poi, daranno vita a una anomala costellazione affettiva. Dove le famiglie tradizionali falliscono (…), nuove forme si originano e paiono poterle sostituire. Oltre a questo, nel denso romanzo di Rondolini c’è molto altro: un gretto quadro di provincia contadino e urbano, complicate vicende familiari, un affaccio nel mondo della pasticceria, un’adolescenza anni ottanta. La lingua è sempre accurata, la costruzione è originale e tenuta perfettamente sotto controllo, con i diversi punti di vista che si alternano geometricamente e con grana della voce diversa, accumulando sempre nuovi particolari, in una mise en abyme che ci fa intravedere sempre cangianti fondali.
Recensione di Mario Marchetti
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