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Il tema non è nuovo, e per vari decenni in Italia politici e storici si sono interrogati su un rapporto, quello tra stato e istituzione romana, che è stato, già dall'inizio, contrassegnato da polemiche e contrapposizioni. Negli ultimi anni la questione ha assunto nuova rilevanza, soprattutto per i cambiamenti che sono intervenuti nel nostro paese dopo la fine della Guerra fredda e l'esaurirsi della funzione del partito cattolico che dal 1945 era stato interlocutore privilegiato della Santa Sede.
Il libro pubblica gli atti di un convegno organizzato nel novembre del 2007 dalla Fondazione Michele Pellegrino, che prevedeva un'articolata relazione introduttiva, affidata a Francesco Traniello, e una serie di interventi di studiosi. Lo storico torinese, dopo aver messo in luce come sul terreno globale si assista a un nuovo protagonismo delle religioni (e ciò in coincidenza con la crisi delle grandi ideologie storiche e storicistiche), nota come in Italia la chiesa cattolica non si limiti a proclamare come "irrevocabili le proprie verità sull'uomo", ma giunga a sostenerne la validità erga omnes, asserendo che il loro mancato rispetto porti a conseguenze distruttive di ogni ordine. L'istituzione romana mette così in discussione la legittimità di qualsiasi pluralismo etico, sottoponendo "a forte tensione la laicità dello Stato". La religione, in un periodo di difficoltà e di incertezza, diventa un fattore di identità collettiva e di coesione sociale, assumendo di fatto il ruolo di "religione civile"; del resto è stata proprio la visione religiosa di Giovanni Paolo II, che sottolineava la dimensione sociale della chiesa, a portare a un rapporto organico tra religione e nazione. La Cei guidata dal cardinal Ruini avrebbe inteso poi limitare il pluralismo nato nella chiesa soprattutto dopo il Concilio, ritenendo in questo modo di contrastare la cultura della secolarizzazione. Traniello esprime dubbi che tale reductio ad unum operata da Ruini possa risultare proficua, perché "l'insistito rinvio alla legge naturale, come norma immutabile di cui la Chiesa è depositaria e custode, riapre la perenne questione del rapporto tra Rivelazione cristiana e storia dell'uomo".
Le riflessioni poste da Traniello diventano un'occasione per riflettere sulla chiesa contemporanea, e alla sfida non si sottrae Grado Merlo, che mette in evidenza la debolezza dello stato italiano, privo di un reale supporto di legittimità e di principi universalmente riconosciuti, di fronte a un'istituzione che si fonda su "larghe e sperimentate certezze ideologico-religiose". Se il futuro vedrà poi prevalere "uno spazio politico, giuridico ed economico europeo", ancora una volta la chiesa cattolica, a parere di Merlo, vista la sua dimensione "universale", saprà imporsi con maggiore prontezza rispetto alle componenti laiche.
Daniele Menozzi, dal canto suo, analizza l'evoluzione del rapporto tra chiesa e laicità da Pio XII ai giorni nostri, notando come con Giovanni Paolo II si sia radicalizzata l'idea della necessità della ricezione da parte dello stato di quei "diritti universalmente validi di cui l'autorità ecclesiastica detiene in via esclusiva la chiave", e Maurilio Guasco, studioso della crisi modernista, esprime il proprio disagio di fronte a una religione che, assumendo un ruolo civile, di fatto non appare più in grado di proclamare la radicalità dell'annuncio evangelico.
Anche Vincenzo Ferrone polemizza nei confronti del progetto di Ruini, che mira a un'egemonia culturale attraverso la mobilitazione dei cattolici nella società e rinuncia a una chiesa aperta al confronto. Lo storico si dichiara anche critico nei confronti della "svolta identitaria" degli ultimi anni, che induce a identificare nel cattolicesimo la religione del mondo occidentale, perché tale scelta implica una politicizzazione dell'esperienza religiosa. Perplesso nei confronti delle ultime scelte vaticane si mostra anche Bartolo Gariglio, che mette in evidenza come la decisione di elevare al soglio pietrino Benedetto XVI sia il segno di come i vertici ecclesiastici ritengano prioritarie le definizioni dottrinali.
Differente è il tono dell'intervento di Agostino Giovagnoli, che si dimostra polemico nei confronti di quella "bioetica laica" che tende a identificare la libertà con l'uso delle "possibilità di intervento tecnico-scientifico sulla propria base umana". I "laici polemici", in nome della libertà individuale, giungerebbero, a suo parere, a negare la neutralità che dovrebbe costituire l'essenza dello stato laico. Ciò che poco convince di tale ragionamento è che lo stato non è un'entità metastorica e che nella situazione attuale è evidente come in Italia non si sia contraddistinto come baluardo della difesa della laicità di fronte a una chiesa sempre più pressante e invadente.
Daniela Saresella
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