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recensione di Vineis, P., L'Indice 1998, n. 6
Sia l'insegnamento universitario, sia una diffusa retorica sui progressi tecnologici della medicina fanno sì che lo sguardo dei medici e dei loro pazienti sia ormai perennemente orientato al presente o ancor più al futuro. Questo stato di cose reca con sé non poche implicazioni, anche di natura tecnico-scientifica. Ignorare le basi storiche della propria disciplina corrisponde a un atteggiamento acritico di sostanziale dipendenza dalla novità tecnologica. Vediamo invece quanti spunti di riflessione per il presente può offrire un bel libro di storia della medicina, come questo terzo volume della "Storia del pensiero medico occidentale" curata da Grmek.
Un primo aspetto che emerge dalla lettura è il ridimensionamento di alcuni miti, come quello della figura solitaria e geniale del ricercatore. Certamente l'iniziativa individuale di figure come Pasteur e Virchow fu determinante nel consentire il successo delle loro ricerche, ma gli individui erano circondati da collaboratori, ricevevano sovvenzioni, erano influenzati dalle sollecitazioni della pratica clinica o dai committenti della ricerca. Perfino nell'Ottocento, il secolo dei grandi scienziati, il ricercatore fa parte di una rete, è immerso in un contesto di relazioni e di discussione. Il mito dello scienziato solitario e disinteressato è in particolare ridimensionato nel caso di Pasteur. Bruno Latour gli aveva dedicato qualche anno fa un'ampia biografia da cui emergeva come il successo di Pasteur fosse legato a una strategia di espansione orizzontale tra campi diversi delle scienze biologiche (fenomeno comune anche ad altri grandi come Bernard e Virchow) piuttosto che all'approfondimento minuzioso di un singolo argomento. Pasteur non risponde affatto alla ricostruzione semplificata degli epistemologi, per cui lo scienziato si concentrerebbe su un "rompicapo" elaborando modelli alternativi per la sua soluzione; la sua strategia era piuttosto "analogica", consistente nel travasare ipotesi di ricerca da un settore all'altro e, soprattutto, identificare i soggetti di studio che davano migliori garanzie di riuscita. Grazie al lavoro recente di storici come Cadeddu e Geison sui taccuini di Pasteur, è stato possibile modificare certe ricostruzioni delle sue scoperte basate sulla teoria del genio individuale e dell'accidente fortuito, e rivalutare il ruolo di collaboratori come Roux. Quest'ultimo fu più avveduto dello stesso Pasteur, se è vero che prese le distanze dall'arrischiata (e oggi eticamente inaccettabile) sperimentazione del vaccino antirabbico in Joseph Meister.
Un altro motivo di riflessione è che le scoperte non nascono nel vuoto, ma vengono preparate dal convergere di sviluppi tecnici (il microscopio), "metafore influenti", scontri ideologici (contagionisti "versus" miasmatici, un confronto tra visioni del mondo e non solo tra teorie scientifiche), diversi modi di vedere gli stessi problemi. A proposito dello "sguardo medico", si pensi alla rivoluzione introdotta da Louis attraverso l'osservazione quantitativa: osservando che la mortalità nei pazienti affetti da polmonite era del 25 per cento se venivano trattati tardivamente con salassi (quando ormai la malattia era in via di guarigione), e del 44 per cento se il salasso era precoce, egli diede un colpo decisivo alla credibilità del salasso come pratica clinica diffusa.
La storia della medicina ci aiuta anche a cogliere la continuità - e non solo le discontinuità - tra periodi storici. Un capitolo ancora da scrivere - e solo in parte affrontato nel volume di Grmek - è quello sull'influenza della scienza romantica sugli sviluppi scientifici successivi. Benché l'apporto del Romanticismo sia stato visto in termini prevalentemente negativi, e non solo dai positivisti, diversi saggi nel volume curato da Grmek evidenziano gli elementi di continuità. L'idea di Schelling che esistesse un "ambiente interno" che regolava il funzionamento dell'organismo aveva chiare somiglianze con la teoria di Claude Bernard del "milieu interieur". Virchow si appoggiò ad alcuni dei principi della "Naturphilosophie", attraverso l'idea di una sostanziale continuità tra processi fisiologici e patologici e la postulata centralità della cellula, che riprendeva la concezione romantica della vita come processo di riproduzione. Con grande equilibrio i saggi del volume descrivono Virchow e Bernard come "vitalisti temperati", in quanto riconoscevano che le proprietà della vita sono in accordo con le leggi della chimica e della fisica, ma non possono essere ricondotte solamente a queste. Bernard è stato interpretato perlopiù come un determinista e un positivista (lui stesso contribuì a tramandare quest'immagine di sé), ed è merito degli studi di Grmek avere evidenziato la ricchezza e l'articolazione del suo pensiero. Ancora a proposito di influenze di teorie vecchie su scoperte nuove, l'aspirina venne inventata in seguito a una catena di eventi che iniziò con l'introduzione della salicina nel trattamento dei reumatismi (1876); questo medicamento fu proposto in base alla "teoria delle segnature" di Paracelso: poiché i reumatismi compaiono in ambiente umido e freddo, vanno trattati con una pianta (il salice) che cresce in quelle condizioni climatiche.
L'importanza del XIX secolo per la medicina odierna è ben nota, non solo per lo sviluppo dell'anatomia patologica, della teoria cellulare e della microbiologia, ma anche perché segna in modo definitivo la separazione tra diverse componenti della medicina: vede la nascita delle specializzazioni, la definitiva cesura tra medicina e chirurgia, la separazione tra medico pratico e ricercatore e l'ingresso dell'industria nel campo della ricerca biomedica. Tutti questi elementi si sono amplificati nel corso dell'ultimo secolo. Per venire al presente, il "caso Di Bella" - clamoroso esempio di arretratezza culturale e di crisi di fiducia nella medicina - non avrebbe forse avuto gli stessi echi se non fosse ancora diffuso nel pubblico (e tra gli stessi medici) il modello anacronistico del "medico tuttofare", che cura i pazienti, li ascolta benignamente e fa anche ricerca. Dobbiamo rassegnarci alla scomparsa di questa figura, così come è scomparso l'artigiano battilastra o il tornitore specializzato. La ricerca oggi è essenzialmente un fenomeno basato sulla collaborazione multicentrica e su un "disegno" abbastanza sofisticato, di cui la "sperimentazione Di Bella" è una sbiadita immagine. In gran parte dei paesi occidentali la fusione di ricerca e pratica non è sopravvissuta oltre l'Ottocento. Se risaliamo indietro all'"ancien régime "troviamo perfino una fusione tra conoscenza profana e conoscenza medica: "La medicina dell'Ancien Régime è stata presentata come dominata dai pazienti e i confini tra conoscenza profana e conoscenza medica non erano ben definiti. In molti luoghi a dominare la pratica medica era l'ethos del mercatino rionale, con i medici che facevano facilmente riferimento al loro 'business' e i ciarlatani che contendevano la clientela ai regolari" (dal saggio di Bynum). Siamo così sicuri che studiare la storia sia inutile?
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