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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2010
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Pur ruotando in modo un po' eccessivo intorno a sentimenti come la malinconia e la perdita, questo romanzo ha un respiro dostoevskijano di forte impatto e può essere considerato fra le migliori realizzazioni dell'autore. Il rapporto fra l'accidente e il destino (che fa tornare in mente un po' Dickens e un po' il Kieslowski di «Przypadek») è in realtà solo il motore di una vicenda nella quale conta più l'ambiente che il fattore umano, come è tipico di Trevor. Figli di una cultura eccessivamente impregnata di un cattolicesimo bigotto e provinciale, uomini e donne dei suoi libri amano automacerarsi fino ad un punto di non ritorno. Il caso si trasforma in tragedia e poi risorge a rassegnata accettazione della realtà, in quanto i protagonisti non hanno abbastanza carattere per opporsi ai meccanismi inibitori nei quali sono nati. C'è del determinismo in questo, certo, ma bisognerebbe aver vissuto nell'Irlanda meridionale (Cork County) del periodo interbellico per dire che Trevor ha esagerato o che è troppo pessimista. Questa è una storia che ha anche lo scopo di esorcizzare tali dinamiche mortificatrici.
Mi spiace ma mi dissocio dai commenti precedenti. Il Times puà anche affermare che Trevor sia uno scrittore "imprescindibile" del nostro secolo ma io ho trovato questo libro di una noia mortale. Scritto, tra l'altro, in uno stile antiquato e sonnacchioso con le sue descrizioni di eriche e praterie. La storia - che aveva effettivamente un buonissimo spunto - è lenta e assurda (in certi punti sembra di leggere Liala "ma io vi amo! voi non dovete amarmi perchè vi farò solo del male" e cose simili) ed è tutto uno struggersi fino alla fine tra tazze di the e visite di suore. No, non mi è proprio piaciuto.
Una storia incredibile e struggente tipica dell'autore irlandese.
Recensioni
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