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Il titolo del volume è carico di significati. Non solo perché - nel corso della sua storia plurimillenaria - "Roma non ha mai cessato di essere una città capitale: di un grande impero e poi del mondo cristiano, di uno Stato ecclesiastico, infine dell'Italia unita"; ma anche in quanto esso richiama, quasi alla lettera, quello della ricerca pubblicata nella seconda metà degli anni cinquanta da Alberto Caracciolo. A poche settimane dalla scomparsa dello storico livornese, credo non sia sgradito agli autori ricordare il legame da essi contratto con la tradizione storiografica inaugurata da Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale (1956).
Di tale tradizione storiografica, l'opera curata da Vittorio Vidotto riprende e rilancia l'importanza attribuita al processo che ha a che fare con la dimensione costruttiva caratteristica di ogni fenomeno identitario. Suggerendo, tuttavia, una periodizzazione inedita dell'attuazione della versione contemporanea del "mito di Roma": lungi dal limitare la narrazione all'età liberale, i saggi proposti inseriscono l'evento 1870 in un arco cronologico che trova il proprio termine ante quem nell'elezione al soglio pontificio di Pio IX (1846) e la propria conclusione nella caduta del fascismo e nella fine dell'occupazione nazista (1944). Nella convinzione che l'impostazione di lunga durata concorra a esplicitare come la scelta di fare della "città eterna" la capitale dello stato italiano non fu affatto scontata, né esente da polemiche, pur se i richiami alla grandezza e alle glorie di Roma rappresentarono una costante dei dibattiti risorgimentali; come essa comportò un serrato e perdurante confronto con gli illustri passati della città, primo tra tutti quello gestito e costantemente reinventato dalle autorità ecclesiastiche; e come, in suo nome, vennero avanzate progettualità politiche differenti - quando non contrastanti -, accomunate nondimeno da una tensione universalistica e cosmopolitica che non sarebbe sopravvissuta all'avvento della Repubblica.
Facendo inoltre proprie le implicazioni interdisciplinari della storia urbana, la natura collettiva del volume (contributi di Francesco Bartolini, Maristella Casciano, Stefano Caviglia, Andrea Ciampani, Marco De Nicolò, Grazia Pagnotta, Lidia Piccioni, Andrea Riccardi, Paola Salvadori e Bruno Tobia, oltre che del curatore) consente al lettore di familiarizzare, secondo molteplici registri di indagine, con i differenti terreni in cui può essere declinata la costruzione della Roma italiana; di accostarsi, cioè, al suo sviluppo demografico, economico e sociale, all'evoluzione delle istituzioni municipali e ai loro rapporti con il governo centrale e il Vaticano, alle dinamiche della sua vita religiosa, alla sua crescita urbana ed extraurbana, senza tralasciare i dispositivi rituali e simbolici tramite cui la Chiesa, lo stato liberale e la dittatura fascista intesero esibire la propria sovranità e procedere nell'opera di consolidamento dei rispettivi consensi.
Nel lavoro di équipe e nella dilatazione temporale proposta mi sembrano risiedere la novità dell'opera e il suo principale interesse. Oltre ad approfondire la conoscenza dei processi di modernizzazione che investirono la città nel periodo in esame, gli interventi pubblicati concorrono a rinnovarne la visione d'insieme, segnalando da un lato aporie, sfasature cronologiche, innovazioni e persistenze, e moltiplicando dall'altro i punti di vista sulle vicende analizzate. Si pensi - per attenersi a una data-simbolo - alle differenze di senso che è possibile attribuire al biennio 1870-1871 prima sul piano politico-istituzionale, marcato dalla breccia di Porta Pia, dal plebiscito per l'unione al Regno d'Italia, dalle elezioni politiche, dalle leggi per il trasferimento della capitale e l'inizio delle attività per la sua effettiva realizzazione; poi su quello amministrativo, in cui l'introduzione della legislazione del regno inaugurò quella sovrapposizione tra potere centrale e governo municipale che diverrà una costante della storia romana; o sul piano economico, dove l'abolizione delle barriere doganali concorse certamente all'ampliamento del mercato ma, sul breve periodo, si tradusse in un ulteriore ridimensionamento delle manifatture locali; su quello religioso, in cui alle chiusure del pontefice si affiancò una profonda attività riformatrice orientata a sopperire alla perdita del potere temporale. E, infine, sul piano urbanistico e sociale, dove furono la piena del Tevere e i patimenti da essa arrecati a dominare l'immaginario e le dinamiche collettive. Gli esempi potrebbero continuare; estesi agli oltre cento anni trattati nel volume, essi ci parlano della necessità di riconsiderare le continuità e le rotture tra i regimi di cui Roma fu, in successione, capitale.
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