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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2011
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La prima metà del libro è più storica che altro poi la seconda metà (a mio parere più interessante)si concentra sulla storia d'amore con colpi di scena interessanti anche se un pò confusionari, nel complesso è stato piacevole e dopo aver finito il libro ho continuato a pensare alle scelte prese dai protagonisti...non le condivido ma ho cercato di capire nel contesto sociale e culturale le motivazioni.
Recensioni
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Perché Una storia romantica può essere considerata un interessante fallimento? Facciamo la tara delle tante discussioni che sono legate all'autore, Antonio Scurati, intellettuale non incasellabile e spesso, come si dice sempre, "scomodo", e cerchiamo di isolare alcuni nuclei fondamentali dell'operazione. In effetti, Una storia romantica è prima di tutto un atto volontaristico: Scurati sa che la narrativa attuale è, per molti aspetti, in un vicolo cieco, e già nel suo La letteratura dell'inesperienza (Bompiani, 2006) sosteneva, dopo un'analisi basata su Benjamin, Debord e altri, che lo scatto verso un racconto integralmente storico poteva consentire di superare molte contraddizioni a suo parere insanabili, a cominciare dalla (supposta) perdita totale dell'esperienza vissuta. La prosecuzione del saggio, che a questo punto dobbiamo considerare quasi una poetica, è appunto costituita dal racconto di secondo grado della sublime storia d'amore, nel bel mezzo delle Cinque giornate di Milano, tra il nobile Jacopo Izzo Dominioni e la bellissima Aspasia, di origini non nobili (nonostante il nome) ma perfetto "oggetto del desiderio" nel culmine della rivolta. La trama, ricavabile attraverso i canonici espedienti del manoscritto ritrovato, dello scambio epistolare, insomma del montaggio semplice di frammenti "veritieri", è ovviamente un pretesto. Scurati deve puntare all'assoluto perché ai gesti dei suoi eroi, e in specie al loro Amore, "è dovuta una catastrofe essenziale, non una morte qualunque". L'assoluto sarebbe insomma la risposta alla vacuità del vivere, a quell'inessenzialità ormai completa, all'inesperienza del mondo come condizione collettiva.
Per ottenere il suo assoluto, Scurati si basa su due princìpi. Da una parte, ogni aspetto della tradizione letteraria, artistica e culturale può in genere essere recuperato e impiegato per sottolineare il sublime del racconto non però per generarlo, perché il sublime in Una storia romantica non sta nelle parole, ma nel loro alone, nel loro essere portatrici di risonanze e quindi ri-creatrici. Da un'altra parte, siccome tutto questo potrebbe confondersi con un'operazione postmodernista alla Eco, ne viene sottolineata in un paratesto conclusivo (ma mai dentro il testo) la voluta falsità, che però dovrebbe in qualche modo garantire la bontà del fine: si possono citare assieme Foscolo e Mogol, Hugo e Battiato, Tolstoj e Mia Martini, filosofi, storici, creatori di slogan ecc., purché si tenga presente che tutto mira alla recherche de l'absolu.
Ora, è vero che il postmodernismo (se vogliamo usare questo termine in un'accezione ampia ed epocale) non è per Scurati lo stesso concetto che vale per Eco: quest'ultimo ha fondato il suo modello, poi largamente imitato, sull'ironia che doveva occultare un sostanziale nichilismo; Scurati, e chi tenta operazioni similmente "integraliste", crede che il nichilismo sia il punto di partenza ancora attuale per ogni viaggio letterario, che però deve mirare alla ricostruzione di miti, al tragico in un'epoca che lo ha disintegrato, e così via. Ma purtroppo, il romanticismo (il mito in genere) è come il coraggio per don Abbondio: uno, da solo, non se lo può dare.
Ecco, a mio parere, lo snodo decisivo. L'operazione di Scurati è appunto un tentativo di ridonare pienezza a un immaginario che non costituisce un'autentica tradizione, ma un insieme di superfetazioni dei desideri. Dimenticando del tutto la grande lezione del Girard di Mensonge romantique et vérité romanesque, Scurati procede come se fosse possibile, oggi, creare un falso totale di secondo grado che abbia lo stesso effetto di un falso di primo grado, alla Byron (che però, poi, a morire in guerra ci andò davvero). Scurati, cioè, considera la letteratura più in alto della storia, e considera la tradizione come un valore perenne, e non come un bene di cui ci si deve continuamente riappropriare nel nuovo. Ma come? Facciamo un exemplum fictum. Se Don DeLillo dichiara, come ha fatto, che gli attentati dell'11 settembre costituiscono un evento in cui si ricreano le condizioni epiche e tragiche dell'antichità, non è che poi si mette a scrivere una tragedia classica ambientata in un aereo in mano a un dirottatore. La sua visione tragica ed epica è già tutta nel montaggio astratto di casi grotteschi e insieme reali di Underworld. Per parlare dell'11 settembre, se vorrà, dovrà trovare forme analoghe, che riprendano la tradizione ma non in modi tradizionalistici.
Qui invece sta il limite di Scurati, che dapprima ha proseguito sulla strada segnata da Nietzsche, Dostoevskij o Camus, e ora mira direttamente al sublime non-mediato, supponendolo fondativo del sublime diffuso. È un limite che si può riscontrare in tanti altri tentativi estremi, che Giuseppe Genna, in un suo intervento su "Carmilla on line", individua bene, salvo poi evitare di esaminarne i difetti. Con Una storia romantica non si cambia il rapporto attuale fra letteratura e realtà, che non è, come invece recenti dibattiti organizzati proprio da Scurati porterebbero a credere, un rapporto speculare o lineare. Occorrono tentativi ben più complessi per interpretare le movenze profonde del tragico o dell'epico oggi: non che non ci siano (io personalmente ho cercato di indicarne diversi nel mio Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo), ma di certo non narrano una storia volutamente e perdutamente romantica.
Alberto Casadei
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