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Anno edizione: 1996
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DRIEU LA ROCHELLE, PIERRE, Strano viaggio
DRIEU LA ROCHELLE, PIERRE, Memorie di Dirk Raspe
recensione di Bianco, L., L'Indice 1997, n. 6
Il "Drôle de Voyage" di Gille, trasparente alter ego di Pierre Drieu La Rochelle, inizia nella campagna francese, in una sontuosa dimora dell'alta borghesia ebraica. È l'ora del tè. Il giovane Gille e i tre rampolli della famiglia Cahen, che lo ospita, si crogiolano nei consueti discorsi perfidi e pigri, superficiali e taglienti, svariando dal pettegolezzo alla profezia d'apocalisse, dall'insulto alla critica d'arte. Il velenoso risentimento di Drieu verso l'inettitudine della borghesia sa efficacemente evocare le ovattate e oziose atmosfere di un acquario popolato da pesci velenosissimi e variopinti.
Se, in questo campionario di fallimenti e debolezze, si parla di pittura, è naturalmente per sparlare di qualche altro pesce che sguazza in un acquario vicino: si tratta, in questo caso, del Marchese di Bronsac, al quale "molto sarà perdonato, perché ha molti bei quadri", come puntualizza Gille. Ma la pinacoteca di Bronsac, che contiene "i più bei Picasso, i più bei Matisse", non rivela in fondo niente altro che "un animo da rigattiere" arricchitosi nelle speculazioni del primo dopoguerra. Soltanto la cupidigia gli permette di cogliere il "valore sottile" di Picasso, giacché "quando un uomo ha bisogno di denaro, riflette e lascia perdere i suoi pregiudizi", e, del resto, continua Drieu per bocca di Gabriel Cahen, "chiunque, con un minimo di riflessione, può capire che i soli pittori capaci ancora di dipingere hanno saputo rifugiarsi nella negazione della pittura. Quando i contemporanei inclini a questo genere di esercizio si sono accorti della debolezza della nostra cultura e dell'anemia del nostro temperamento, hanno inventato la teoria di una pittura rudimentale e inumana".
La discussione prosegue con una significativa hit-parade, presentata da un Gille sempre più caustico e sentenzioso: "Quei pittori sono gli ultimi fra i pittori, ma non sono sofisti: non potendo più congiungere insieme natura ed umanità, si limitano a esercitazioni particolari (...) Solo Derain pare dipingere ancora come un uomo, ma i suoi paesaggi o i suoi nudi incantevoli sono allusioni a un passato in cui avrebbe dovuto vivere"; Picasso, per contro, "sa disegnare e dipingere, ma non sa che farsene delle proprie forze", mentre Braque "non sa neppure disegnare, ma in compenso le sue tappezzerie sono armonie di macchie più sapienti, più profonde, più difficili di quelle di Picasso". Come in ogni hit-parade che si rispetti, il posto d'onore viene occupato, per ultimo, dall'unico pittore che sa "ricordarci ancora quel che era la pittura, il dramma della natura e dell'uomo intimamente uniti": Henri Matisse. "Matisse è la luce che si difende vacillante, lampeggiante, contro il caos che ci invade di nuovo".
"Strano Viaggio" viene pubblicato nel 1933, mentre Drieu è affascinato da Malraux e dal "Viaggio al termine della notte" di Céline; curiose parole escono in quel periodo dalla sua penna: "Se non divento socialista, comunista - scrive all'amica Victoria Ocampo, dedicataria del romanzo - creperò. Gli unici che parlan chiaro sono i comunisti". È fin troppo noto che Drieu non diverrà socialista né tampoco comunista; in parallelo con l'ammirato Céline, abbraccerà dapprima l'antisemitismo, per poi sprofondare sempre più nella disillusione di un dandismo fascista ben lumeggiato dai suoi diari (Il Mulino, 1995; cfr. "L'Indice", 1995, n. 4). Negli ultimi, disperati anni prima del suicidio, Drieu si vede costretto a rivedere la sua hit-parade pittorica, forse per tornare, illusoriamente, al "dramma della natura e dell'uomo intimamente uniti". Ma il tono è ben diverso dalle acide frecciate antiborghesi del romanzo del 1933: la "drôle de guerre" si è bruscamente imposta come atroce capolinea del "Drôle de Voyage".
Negli ultimi mesi di vita, lavorando alle incompiute "Memorie di Dirk Raspe", Drieu guarda i letali fuochi d'artificio degli "shrapnels", gli stessi che illumineranno il cielo straziato e notturno degli ultimi romanzi di Céline, attraverso l'esperienza, bruciante e difficilmente riconducibile alla parola scritta, di Vincent Van Gogh. Van Gogh, annota Drieu, è "il pittore che illuminerà l'ultima visione dell'irreale"; ma soprattutto Van Gogh diviene lo stesso Drieu, che, in un'ossessiva smania di identificazione, mescola episodi tratti dalla vita del pittore con le proprie esperienze e aspirazioni. La sua scrittura perde ogni traccia di ironia, se pure "la sua ironia era compiacimento dello sfasciume", come Drieu nota di se stesso in "Strano Viaggio"; le parole, soprattutto negli intensi brani di descrizioni di paesaggi e di ritratti, sembrano disperatamente tese a recuperare quel baluardo di "luce vacillante, lampeggiante contro il caos" al quale l'autore si affidava parlando di Matisse, dieci anni e cento sconfitte prima.
Trattandosi di un personaggio come Pierre Drieu La Rochelle, infatti, la scommessa è perduta in partenza: il tentativo di far coincidere la propria vita e la propria visione con quelle di Van Gogh non riuscirà a Drieu che nel momento estremo, quello del suicidio. Era del resto stato avvertito da un Céline insolitamente cordiale, che in una lettera del 1941 gli scriveva: "La nostra futilità non può gonfiarsi che di vento. Soffia a gran folate, e da ogni lato. Eccoci tutti come quei grossi aquiloni giapponesi a forma di pesce, alti alti sui piloni, tanto stazzonati, vecchie camicie, talmente fantastici, gonfiati, formidabili! E poi, in scatola! Finito il giochino!".
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