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"Sottovalutare la rilevanza culturale, ideologica ed estetica del videogame significa (
) rinunciare a comprendere una componente importante della contemporaneità". Questa presa di posizione un po' tranchant, estrapolata dal saggio d'apertura V-ideologia o La Macchina della Guerra,è un'ottima chiave di lettura per una prima complessiva definizione di Gli strumenti del videogiocare. Il volume, che raccoglie una dozzina di testi circa, parte infatti da un presupposto che solo dieci anni fa sarebbe stato considerato a dir poco rivoluzionario: il videogioco non deve essere considerato soltanto un passatempo per ragazzini, un'amenità destinata a rimanere confinata alle camerette o ai salotti di casa, ma può diventare oggetto di studio, analisi, ricerca critica e accademica.
L'approccio di Bittanti e degli altri autori coinvolti nell'impresa è simile a quello che negli ultimi anni ha dato nuova dignità ai fumetti e al cinema d'animazione, discipline un tempo snobbate da chiunque si fregiasse anche a sbafo del titolo di critico letterario o cinematografico. È un segno dei tempi, delle nuove generazioni di studiosi che si aprono a diverse forme di intrattenimento e di comunicazione, ma anche delle stesse discipline che allargano i propri obiettivi, prendendo come target un pubblico socialmente, anagraficamente e culturalmente più ampio e variegato. Che i videogiochi non siano più un prodotto destinato ai ragazzini non lo dicono solo gli autori del libro, ma anche le statistiche. Alcune delle quali individuano nel trentenne (e in certi casi, anche nella trentenne) l'utente medio. Nel caso dei videogame, poi, ci si imbatte pure nell'ennesimo tassello di una rivoluzione digitale e tecnologica che sta stravolgendo le abitudini di consumo contemporanee, fondendo forme spettacolari un tempo radicalmente distinte (il gioco oggi si fruisce sullo stesso schermo televisivo su cui si vedono i film, oppure su quel personal computer che serve anche per ascoltare musica e leggere le news su Internet).
Partendo quindi dal presupposto che la materia merita uno sguardo più attento di quello che le è stato finora destinato, gli autori del volume costruiscono un percorso d'analisi ambizioso, forgiato su molteplici punti di vista e rinvigorito da una bella dose di entusiasmo giovanile. "In questo saggio mi propongo di analizzare l'estetica degli sparatutto in soggettiva (
), da un punto di vista teorico e astratto" dichiara Rune Klevjer in Danzando con il grottesco moderno, e poche pagine più avanti Geoff King gli fa eco in Giocare con la geopolitica, proponendosi di "analizzare le modalità attraverso le quali l'ideologia opera all'interno dei videogiochi". Nel saggio iniziale, Matteo Bittanti stabilisce uno straordinario parallelo tra le immagini videoludiche e la guerra, Ivan Fulco si sofferma sul passaggio dal 2D al 3D, Robert J. Bain jr. mette in parallelo il testo Al di là del principio di piacere (1920) di Sigmund Freud con Delta Force: Black Hawk Down, controverso titolo ispirato a una tragica battaglia avvenuta in Somalia. Dario Villa ragiona invece sul dualismo cinema-videogame, non tanto da un punto di vista commerciale e industriale, quanto sul piano dell'estetica e del linguaggio; e l'elenco potrebbe proseguire toccando tutti gli altri saggi. Gli strumenti del videogiocare non è un manuale, non è una guida, non è neanche una storia dei videogiochi. È invece qualcosa di molto più interessante: un collage di teorie spesso coraggiose e di ragionamenti complessi su come il videogioco sia ormai entrato a far parte del tessuto connettivo della società contemporanea. Sottovalutarne la rilevanza culturale, ideologica ed estetica sarebbe davvero un errore.
Luca Castelli
Dall'introduzione di Matteo Bittanti:
"Il videogioco non è una tecnologia neutrale. Non esistono tecnologie neutrali, beninteso. La critica videoludica, tuttavia, continua ad illudersi che il videogioco sia un semplice dispositivo. Un mero strumento. Un puro passatempo. Pochi sembrano scorgere la sottesa componente ideologica. Nessuno sembra preoccuparsene. Parametro generalmente ignorato dai cosiddetti 'critici di professione' che da trent'anni a questa parte continuano placidamente a considerare il game sulla base di un'innocua quanto anacronistica criteriologia tecnico-estetica ("grafica", "sonoro" etc.), l'ideologia è una sorta di interfaccia invisibile, trasparente eppure pervasiva. Come le polveri sottili che galleggiano nell'aria delle nostre città, è impercettibile, ma letale. La critica videoludica tradizionale - supportata da un'industria ostile a una riflessione in grado di trascendere le più crasse banalizzazioni - è rigorosamente autoreferenziale. Nel suo anacronismo positivista, ignora la lezione cruciale di McLuhan, per cui il videogioco, al pari di ogni altro medium "crea un ambiente. Un ambiente è un processo, non un dato di fatto. è un'azione che modifica il nostro sistema nervoso e le nostre capacità percettive, alterandoli completamente" (2003: 91) . L'abusata e spesso fraintesa mantra di McLuhan, "il medium è il messaggio", non si significa altro che un'innovazione "crea un ambiente di servizi non immediatamente visibile, e che questo ambiente di servizi celato cambia le persone. è l'ambiente che cambia le persone, non la tecnologia" (2003: 242) . Barricandosi dietro il pretesto del disimpegno, del videogame inteso come ludus tecnologico, la cosiddetta critica videoludica rinuncia a ingaggiare un dialogo con la "Cultura" tout court. Va da sé che il termine "critica" è inappropriato: è piuttosto infotainment, informazione promozionale, "consigli per gli acquisti" con la benedizione dei produttori di videogiochi".
Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie fa parte della collana "Estetiche della comunicazione globale" (Costa & Nolan) diretta da Marcello Pecchioli che vuole rappresentare un punto di riferimento per autori e discipline che hanno sinora avuto poche possibilità di espressione, ma soprattutto un punto di collegamento tra i contributi e i riferimenti storici e culturali del XX secolo e quelli del nuovo millennio. Un punto di riferimento per un'estetica flessibile, multidisciplinare, dotata di strumenti sofisticati che possa interrogarsi allo stesso modo sul valore dei videogiochi, dei filmoidi, degli spot,della televisione,della post-televisione,dei new media, del digitalì divide,del cinema elettronico, ma anche delle manifestazioni estetiche di altri popoli e altre culture, dall'immaginario orientale a quello degli aborigeni australiani, dall'arte africana a quella di matrice araba e islamica."
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