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Melenso romanzetto d'appendice che mostra chiaramente tutta l'inesperienza e immaturità del giovane Verga ventitreenne. Di Verga io ho letto, a parte qualche novella come la stupenda Rosso Mapello, soltanto il tragico ma valido I Malavoglia, giustamente ritenuto un capolavoro della letteratura italiana. Non ritroviamo in questa storiella d'amore con tutti i cliché del romanzo d'appendice niente del forte pathos, sia pur negativo, che permea I Malavoglia. Come in quest'ultima opera qui vi è soltanto, quasi a marchiare di pessimismo la scrittura verginale sin dalle prime prove letterarie, un triste finale, non svelato appieno ma intuibile. Per il resto l'esile e scontata trama è per noi lettori moderni a tratti ridicola: quando gli innamorati non capiscono stupidamente la realtà travisandola completamente e mettendo a rischio la loro unione, secondo uno schema molto in voga nel 1800 ma decisamente poco realistico per i nostri smaliziati occhi moderni. È vero che le opere di quasi due secoli fa non vanno lette alla luce di quanto noi possiamo aver letto di più attuale e smaliziato ma è pur vero che i grandi classici restano tali perché al di là della forma esteriore con la quale sono stati concepiti emozionano e smuovono grandi sentimenti nell'animo dei lettori tutt'oggi mentre l'unico sentimento che trasmette questo testo è una grande risata davanti alle scempiaggini amorose e pseudo patriottiche dei due giovani protagonisti (a proposito secondo voi gli austriaci era così stupidi da arruolare nel loro esercito un ungherese figlio di un traditore e a sua volte traditore dell'Impero? io non credo proprio). Decisamente un romanzetto figlio del suo tempo, imbevuto com'è di patriottismo risorgimentale anti-austriaco stantio ed insensato, invecchiato malissimo e noioso. Due stelle solo per la descrizione, cupa purtroppo ma egualmente suggestiva con le sue calli, della magnifica Venezia sotto il regno di Sua Maestà Imperiale Francesco Giuseppe.
Recensioni
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Dopo una lunga assenza dalla scena editoriale, viene finalmente ripubblicato il terzo romanzo di Giovanni Verga, Sulle lagune, a oltre vent'anni dall'ultima apparizione, nell'edizione nazionale delle opere dello scrittore siciliano (Le Monnier, 1988).
Facile comprendere le ragioni per cui Sulle lagune ha avuto finora in sorte di essere così trascurato: si tratta infatti di un romanzo fatalmente annientato dall'immensità del Verga maturo, quello dei Malavoglia (1881) e di Mastro Don Gesualdo (1889). Pur tuttavia, se a fianco ai capolavori degli anni ottanta continuano a venire riproposti i meno felici esperimenti degli anni sessanta e settanta (da Una peccatrice a Storia di una capinera, fino a Eva, Eros e Tigre reale), ci sembra che non si debba dimenticare Sulle lagune, che rappresenta l'esordio nazionale di Verga narratore. È la sua terza prova, abbiamo detto; ma la prima, inedita, risaliva ai suoi quindici anni(Amore e patria); la seconda, I carbonari della montagna, era stata pubblicata a Catania a spese dell'autore nel 1859. Finalmente gli si presenta l'occasione di scrivere su una rivista fiorentina: e in appendice a "La Nuova Europa"appare tra il 1862 e il 1863 Sulle lagune, il prodotto comprensibilmente acerbo di un Verga ventiduenne, ma che dimostra di respirare a pieni polmoni l'aria del periodo, ancora impregnata di romanticismo, com'è chiaro fin dalla prima descrizione dello scenario in cui si svolge la storia: "Venezia, gondola di odalisca, dolcemente cullata su queste rive incantate dell'Adriatico, profumata e superba, che accoglie tutto un fremito di voluttà, un molle sogno d'amore nella limpida trasparenza della sua laguna".
Protagonisti della vicenda sono due giovani ostacolati nel loro sogno d'amore da un conte austriaco, personificazione del malvagio oppressore che tiranneggia Venezia. Fra patrioti che tramano senza sosta, donne indifese di fronte al predatore straniero e squallidi preti conniventi, Sulle lagune è un singolare mix di temi francesi (come evidenzia giustamente Riccardo Reim nella prefazione, non manca nessuno dei topoi del feuilleton di Dumas e di Sue) e di valori del Risorgimento italiano. "Amore" e "patria", insomma, continuano a guidare la penna di Verga, benché il tema politico qui sia piuttosto fiacco rispetto alla materia sentimentale, alla quale dobbiamo le pagine più ardenti, in cui la parola "amore" ricorre con un'ostinazione a tratti quasi dissonante, nell'oblio di ogni altra cosa: "Gli parve che dormire per sempre d'amore, là, abbracciati, in fondo a quel mare sì bello, circondati da quelle acque sì trasparenti, dovesse essere la realizzazione dell'estrema felicità a cui possa aspirare l'amore (
) E quei vapori, splendidi di luce, misteriosi di un recondito senso d'amore, circondavano della lor pallida aureola le due vite che stillavano amore dalle labbra cercantisi con una voluttuosa incertezza, e respiravano tutto l'amore che la natura aduna sotto molteplici forme col tremito febbrile delle loro membra convulse. E quel sogno d'amore a cui i due giovani s'abbandonavano trepidanti cominciava a far loro provare i suoi vaghi turbamenti, le sue incerte aspirazioni, le sue affascinanti illusioni".
Se le suggestioni di un romanticismo così estremo spariranno presto dalle pagine di Verga, tenacemente continuerà a comparire in tutta la sua produzione la materia erotica. Come emerge in tutta evidenza da una rapida carrellata sulla novellistica: la prima raccolta, Primavera e altri racconti (1876), ha tutte le caratteristiche di un'indagine a tratti sofferta, a tratti ironica, sul mistero amoroso; e se nelle novelle e nei romanzi veristi degli anni ottanta l'amore ha soprattutto le forme sensuali e brutali della passione rusticana e popolare, saranno I ricordi del capitano d'Arce (1891) a riproporre l'atmosfera dell'amore sentimentale e mondano, stavolta disincantato e velato da un amaro sarcasmo.
In questa prospettiva, Sulle lagune è di certo un primo annuncio del Verga che sarà; ma è anche un interessante documento di ciò che Verga non potrà più essere: uno scrittore patriottico. Non soltanto perché le mancate promesse dell'Italia post-unitaria si abbatteranno tragicamente sulla Sicilia; ma anche perché Verga già qui rivela la sua attitudine, il suo fondamentale interesse a guardare la storia dall'altra parte, quella di chi subisce gli eventi senza modificarli. E così Sulle lagune ci offre "un altro di quegli ineffabili dolori domestici che passano inosservati, e che presi insieme formano la storia, stillante lagrime e sangue, di questo dominio di ferro". I "dolori domestici", che più avanti Verga chiamerà "drammi intimi"(dando il titolo a una raccolta di novelle del 1884), nella loro apparente insignificanza, non sono altro che la sua più rivoluzionaria impronta narrativa. Che racconta una storia dell'Italia consumata in silenzio al desco familiare o durante una pausa del lavoro nei campi, e che continua a parlarci con tragica attualità.
Barbara Pasqualetto
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