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Il teatro. Vol. 2 - Carlo Goldoni - copertina
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Descrizione


Cinque lavori della piena maturità goldoniana. Sono “La locandiera”, la commedia di un’arrischiata ascesa sociale schermata dalla favola della seduzione amorosa; “Il campiello”, il più vivido affresco della classe popolare, sullo sfondo di un freddo carnevale veneziano; “Gl’innamorati”, radiografia ironicamente impetuosa della ‘patologia’ del possesso, della gelosia, del tradimento d’amore; “I Rusteghi”, un altro poderoso quadro d’insieme, stavolta dell’immobilismo retrivo della già fortunata borghesia mercantile lagunare; “Le smanie per la villeggiatura”, un vero e proprio dramma dell’amore impossibile, reso ancora più aspro dal rivaleggiare degli opposti status sociali dinnanzi al gran miraggio delle desiate vacanze. E poi un’escursione nel teatro esotico con “La Sposa persiana”, tassello di una trilogia scritta in tempi difficili, quando l’incalzare della moda per i “mondi lontani e diversi” stimolava il pubblico e aguzzava l’ingegno di rivali malevoli.

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Dettagli

1991
1 gennaio 1997
515 p., ill.
9788806126872

Voce della critica


recensione di Taviani, F., L'Indice 1992, n. 1

"Goldoni in genere sta antipatico, se ci teniamo a distanza. Se cominciamo a leggerlo o a vederlo rappresentato in maniera appena appena decente, cadiamo in preda all'attenzione". Quest'espressione - che è insieme una bella metafora e una descrizione letterale - è di Natalia Ginzburg, in un articolo del 1970 ("Il teatro è parola") raccolto poi in "Mai devi domandarmi. Il paradosso di Goldoni è che in fondo non c'è più niente in quei testi che dovrebbe interessarci. Sono proprio una ragnatela fatta di niente. Ma si diventa loro preda. Fatta di niente? Dieci voci sono pronte ad insorgere per ricordarci quanta materia incandescente di città, famiglia e società si nasconda nel teatro goldoniano. Insorgono contro lo svuotamento di Goldoni, contro la sua riduzione a balletto e musicalità. È strano come i critici a volte perdano il senso delle cose e delle azioni. Balletto e musica non sono assenza di senso, ma ragnatele che catturano il senso. Sono il rigore di forma che permette di fissare proprio gli aspetti più volatili e fuggitivi della vita. Quindi anche i più inquieti.
La scelta goldoniana curata da Marzia Pieri (14 commedie e un'antologia di documenti) è uno dei frutti migliori della collezione einaudiana "Il teatro italiano", di cui in altre occasioni non abbiamo potuto tacere gli infortuni. La curatrice ha lavorato con mano sicura e audace, ha evitato le impostazioni comode, i luoghi comuni che secondo certe credulità renderebbero i libri più facilmente adottabili per le scuole e nelle università. Credulità non innocenti di editori e docenti che spesso definiscono pedagogicamente adatti non i libri più efficaci, ma quelli che rendono più facile il compito di chi interroga alunni. Poiché Goldoni è molto adottato e quindi molto ristampato, Marzia Pieri ha scelto per la sua antologia una soluzione difficile e interessante, pubblicando d'ognuna delle commedie scelte la prima edizione d'autore. Decisione che molti vorranno criticare, tenendosi al principio che a far testo dovrebbe sempre essere l'ultima, definitiva redazione. Ma la scelta della Pieri è giustificata da ragioni sia pratiche che teoriche. Esistono - come s'è detto - innumerevoli antologie goldoniane che pubblicano e ripubblicano i testi nella veste stabilita da Giuseppe Ortolani (14 voll., Mondadori 1935-56). Ortolani si basò sulle ultime edizioni curate dall'autore, costruì un apparato di note, varianti e testi accessorii, che è diventato un'enorme preziosissima miniera. Ciò non toglie che il suo lavoro d'edizione sia tarlato da molte scelte arbitrarie, secondo una "filologia del cuore" che si preoccupa di presentare l'autore amato sempre nella miglior veste possibile, indipendentemente dalla stratigrafia testuale. Su questo punto, e sull'esigenza di metter finalmente in cantiere un'edizione critica del Goldoni, ha spesso insistito Nicola Mangini fra colpevoli segni di noia dei circostanti. Facendo un passo indietro e fermandosi alle prime edizioni, Marzia Pieri distingue così la sua antologia dalla pletora delle consorelle e insieme ricorda che l'edizione degna di questi testi famosissimi è ancora lontana. Ma il problema non è solo d'edizione. Con il passo indietro la curatrice reinserisce testi in una dinamica teatrale dove la produzione del libro è complementare alla produzione dello spettacolo: due modi di pubblicare, di lavorare sulla fama.
Può sembrare un paradosso, ma l'affinità elettiva fra spettacolo e libro, che caratterizza la civiltà teatrale europea, è emersa chiara come dato di fatto e come problema proprio da quegli indirizzi della storiografia teatrale che meno si prestano alla sudditanza nei confronti della storia letteraria e della storia dell'arte: che rifiutano di vedere la storia del teatro come una sequenza di testi o una sequenza di spettacoli memorabili. Luciano Mariti, Siro Ferrone ed altri hanno portato all'evidenza quanto la produzione di libri fosse importante per quei professionisti del teatro che la leggenda vorrebbe antiletterario (la commedia dell'arte). Gli studi di Raimondo Guarino e di Cristina Valenti mostrano come la solidarietà spettacolo-libro si imponga con pari evidenza nella storia delle culture recitative d'inizio Cinquecento. Ora Marzia Pieri ci dà una storia equivalente in tutt'altro contesto: il suo Goldoni è uno sceneggiatore di genio che costruisce mattone su mattone edizione dopo edizione, la propria figura d'autore autonomo dai teatranti. Chissà che nell'anno del bicentenario, mentre comitati, ministri ed assessori dediti alla simil-cultura si agiteranno a caccia di fondi e si riempiranno la bocca di progetti e iniziative, qualcuno non voglia prender le distanze e produrre, magari, un'antologia umile del Goldoni falotico e sconosciuto (sconosciuto per modo di dire). Vi campeggerebbero "Le massere", coi loro bèi martelliani. Vi sarebbero forse alcuni scenari scritti per attori italiani a Parigi. Vi troverebbe ospitalità qualche "commediaccia".
Le scelte della Pieri per questi tre tomi einaudiani erano invece obbligate: doveva trovar posto a tutti o quasi i "capolavori". In questo campo non poteva dar spazio all'invenzione. Proprio al centro del mazzo, la Pieri è però riuscita a piazzare una carta strana. "La sposa persiana" - dice l'Ortolani - fu il più grande successo teatrale del secolo. Come molti grandi successi non ha fatto storia. Ma a leggerla con una qualche conoscenza del mestiere si capisce come potesse brillare. Qui, l'esotismo poligamico permetteva allo sceneggiatore di dilatare in un intreccio d'azioni pubbliche e grosse le oscillazioni del cuore in un triangolo amoroso. Due modi di recitare il ruolo d'Innamorata - quello dolce e umbratile e quello ardito e tempestoso - potevano sviluppare tutt'intera la loro gamma dando spazio a due attrici alla pari: Teresa Gandini e Caterina Bresciani. La terza parte femminile, la laida Curcuma, era recitata dal segaligno Pietro Gandini, Brighella fantasista e trasformista. Le ragnatele d'oro che Goldoni sapeva tessere non catturavano soltanto attimi fuggenti di vita settecentesca: hanno anche imprigionato sprazzi del sistema nervoso di attori e attrici che conoscevano i segreti del vivere in scena. L'energia degli attori è stata metabolizzata e trasformata in testo.
Quando si parla della riforma goldoniana si cade in un anacronismo bisognerebbe dire riforma di Medebach e Goldoni, del capocomico e dello sceneggiatore, insieme allestitori di spettacoli nuovi, insieme editori dei testi che fecero la loro fama d'innovatori. Poi Goldoni rivendicò il diritto di pubblicare da sé l'insieme dei suoi testi: trasformò nell'invenzione dell'autore di teatro, in una rivoluzione, quel lento trapasso che nel teatro di prosa aveva condotto ad un'organizzazione simile a quella del teatro d'opera, prodotto da 'ensembles' comprendenti un poeta di compagnia (un trapasso oggetto d'un importante studio di Gerardo Guccini pubblicato in "Teatro e Storia" 3, 1987, ed ora lumeggiato in un buon libro di Carmelo Alberti sulla scena veneziana, pubblicato da Buizoni). Quando Goldoni sarà ormai a Parigi, la sua opera completa verrà presa in mano dall'editore Zatta, il più prestigioso editore del tempo, paragesuitico, specializzato in saggi. Sarà la vera consacrazione storica.
È sullo sfondo di questa storia che Marzia Pieri situa la scelta di commedie. Nel campo dei libri, la strategia di Goldoni è stata in ogni senso vincente. Egli non riuscì a cambiare la storia materiale del teatro del suo tempo. Ma cambiò il teatro mentale e la storiografia teatrale, sicché ancora oggi fatichiamo a rovesciare lo sguardo. Egli, infatti, si limitò a invertire la trama: raccontò la sua storia di teatrante stipendiato che riesce a trasformarsi in gran letterato, come se tutto fosse avvenuto a rovescio: un letterato che riesce a conquistare il mondo del teatro. Si rappresentò allo specchio: e non c'è nulla di più rassomigliante d'uno specchio, che inverte le dimensioni. Goldoni sapeva che l'effetto specchio crea nell'osservatore un'irresistibile illusione di verità, e basò su di esso i suoi scritti autobiografici, così realistici e proporzionati in ogni dettaglio: prima le prefazioni italiane poi i "Mémoires", uno dei capolavori letterari del secolo. E così, noi crediamo di studiarlo, ma è lui che ci ha studiato.

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La recensione di IBS

Cinque lavori della piena maturità goldoniana. Sono "La locandiera", la commedia di un'arrischiata ascesa sociale schermata dalla favola della seduzione amorosa; "Il campiello", il più vivido affresco della classe popolare, sullo sfondo di un freddo carnevale veneziano; "Gl'innamorati", radiografia ironicamente impetuosa della 'patologia' del possesso, della gelosia, del tradimento d'amore; "I Rusteghi", un altro poderoso quadro d'insieme, stavolta dell'immobilismo retrivo della già fortunata borghesia mercantile lagunare; "Le smanie per la villeggiatura", un vero e proprio dramma dell'amore impossibile, reso ancora più aspro dal rivaleggiare degli opposti status sociali dinnanzi al gran miraggio delle desiate vacanze. E poi un'escursione nel teatro esotico con "La Sposa persiana", tassello di una trilogia scritta in tempi difficili, quando l'incalzare della moda per i "mondi lontani e diversi" stimolava il pubblico e aguzzava l'ingegno di rivali malevoli.

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Conosci l'autore

Carlo Goldoni

1707, Venezia

Nato il 25 febbraio 1707 dal medico Giulio G. e da Margherita Salvioni, studiò prima a Perugia, poi a Rimini: da qui, nel 1721, fuggì a Chioggia su una barca di comici (la compagnia di Florindo de’ Maccheroni), affascinato dalla vita avventurosa che conducevano i teatranti. Nel ’23, a Pavia, si iscrisse ai corsi di giurisprudenza del collegio Ghislieri, ma presto fu espulso per aver scritto una satira, Il colosso, contro alcune ragazze della città. Si laureò in legge a Padova (1731) e cominciò la professione a Venezia, ma poco dopo un intrigo amoroso lo portò a Milano. Nel ’32 uscì il suo primo lavoro a stampa, l’intermezzo Il gondoliere veneziano ossia gli sdegni amorosi. Nel ’34, a Verona, conobbe il capocomico...

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