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Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione - Ludwig von Mises - copertina
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Dettagli

1999
1 agosto 1999
Libro universitario
CXXX-330 p.
9788881147755

Voce della critica


recensioni di Colonna, M. L'Indice del 2000, n. 06

Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione di Ludwig von Mises, originariamente pubblicato in Germania nel 1912, fu ripubblicato in edizione riveduta e ampliata nel 1924, e tradotto in inglese nel 1934. Compare ora, per la prima volta, tradotto in italiano da Lapo Berti per la collana della Esi "Economia Monetaria", diretta da Augusto Graziani. La traduzione si basa sulla seconda edizione tedesca del 1924, ed è corredata da note che segnalano le principali varianti rispetto alla prima edizione tedesca e a quella inglese. Il volume comprende un'ampia introduzione del curatore Riccardo Bellofiore, una nota biografica e una bibliogra-
fia pressoché completa e aggiornata delle opere di Mises. Sono inoltre riportate in appendice, tradotte da Cristina Pennavaja, le recensioni di Knut Wicksell (1912) e di Albert Hahn (1924), rispettivamente alla prima e alla seconda edizione del volume.
Teoria della moneta è un testo che ha avuto una vita controversa e difficile. Il suo contenuto polemico e ambizioso suscitò inizialmente giudizi severi quasi ovunque. Sebbene alcuni anni più tardi, e per un breve periodo, critici autorevoli definissero il volume "uno dei più importanti trattati nella letteratura odierna di lingua tedesca", il contributo di Mises alla teoria della moneta e delle crisi non ebbe mai la risonanza che forse meritava, e fu presto oscurato, negli anni trenta, dall'acceso dibattito suscitato dalla nuova versione che di quella teoria era stata elaborata dal suo giovane allievo Fried-rich von Hayek. Dal punto di vista della storia del pensiero, questa vicenda richiede attenzione e chiarimenti. Per molti aspetti, infatti, la teoria monetaria di Hayek si avvale di concetti o di pezzi di analisi elaborati da Mises in modo spesso autenticamente originale, anche se non sempre efficace. Più in generale, Teoria della moneta può ancora oggi utilmente ricordarci il contesto in cui sono stati posti alcuni problemi teorici che hanno avuto grande rilevanza nella storia del pensiero economico del Novecento. Tra quelli analizzati con particolare attenzione dal curatore, vanno ricordati: il tentativo di risolvere l'annosa questione di una determinazione coerente del valore della moneta la tesi sulla non neutralità della moneta, la definizione completa e rigorosa del processo di creazione della moneta, e la discussione sui limiti e sulle conseguenze del potere del sistema bancario di espandere gli impieghi in eccesso rispetto alle riserve. In questa prospettiva, l'introduzione di Bellofiore, dettagliata e ricca di riferimenti e di spunti interpretativi, offre ampia materia per l'individuazione di analogie o diversità anche sottili tra Mises e gli autori che, prima e dopo di lui, si sono cimentati sugli stessi temi. Questa ricostruzione è tanto più opportuna nel caso di un autore come Mises che, per aver concentrato la sua attenzione sulla moneta assai più di quanto abbia fatto il suo ispiratore Carl Menger, può a buon diritto essere considerato il fondatore di quella che il suo allievo Hayek, con più fortuna di lui, ha reso nota come teoria monetaria "austriaca". Una teoria che, sebbene abbia contribuito a delineare i cosiddetti "fondamenti microeconomici" dell'approccio neoclassico alla moneta, non si identifica con la ben più consolidata tradizione di cui Milton Friedman e, successivamente, Don Patinkin sono stati a lungo i più autorevoli esponenti.
La lettura del testo di Mises, per essere più facilmente apprezzata e compresa anche nel suo spirito polemico, deve essere inquadrata nel clima culturale della Vienna a cavallo tra Otto e Novecento. Ludwig von Mises (1881-1973), infatti, è stato forse il più fedele erede del pensiero di Carl Menger (1840-1921), cioè del fondatore di quella "Scuola Austriaca" che a partire dal 1871 si oppose con forza sia alla teoria del valore lavoro di David Ricardo sia al metodo di analisi della scuola storica tedesca (o, più precisamente, del suo nuovo leader, Gustav Schmoller) e, allo stesso tempo, contribuì alla nascita della teoria soggettiva del valore da cui discende la tradizione neoclassica ancora oggi dominante. Nell'ambito del più ampio filone di pensiero neoclassico, tuttavia, la Scuola Austriaca è sempre rimasta un'entità distinta e minoritaria soprattutto per il significato più ampio, a volte filosofico, che il metodo soggettivo acquista nell'opera del suo fondatore, un significato che va oltre la semplice formulazione della teoria dell'utilità marginale, e si estende fino a delineare una teoria generale dell'azione umana.
Una peculiarità della sua analisi, che sarà ripresa da Mises, aiuta a comprendere la distanza che separa entrambi dai teorici dell'equilibrio economico generale, così come dai sostenitori della teoria quantitativa della moneta, che domineranno incontrastati nei decenni successivi. Prima di tutto l'assenza della nozione stessa di equilibrio generale (statico), oltre che di un qualsiasi apparato tecnico-analitico. Per Menger, come per Mises, la realtà economica non solo è troppo complessa per poter essere descritta con l'astratta precisione che la teoria dell'equilibrio economico generale richiede, ma è anche, e soprattutto, un flusso incessante di eventi e di opportunità che si rinnovano e si trasformano, interrotto solo da temporanei momenti di stasi (di equilibrio). Questo è il contesto entro cui Menger sviluppa la sua teoria soggettiva del valore. Ed è alla spiegazione dei fenomeni che caratterizzano questo contesto - lo sviluppo della ricchezza, i processi storici di cambiamento, la genesi e la funzione delle istituzioni - che il suo metodo individualistico e soggettivo è finalizzato. La discussione sull'origine e sulla natura della moneta, sul fatto che essa emerga come il risultato non intenzionale e non prevedibile di un processo selettivo posto in essere dallo sforzo dei singoli individui di migliorare gli scambi, è il suo primo tentativo di sviluppare una teoria degli ordinamenti sociali fondata esclusivamente sull'osservazione del comportamento individuale. Quarant'anni più tardi, esso costituirà il punto di partenza della Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione di Mises. Un'implicazione di questa visione della realtà come processo è il ruolo preminente che nell'analisi di entrambi gli autori svolgono il tempo, l'incertezza e la conoscenza. Con straordinario anticipo rispetto agli sviluppi teorici più recenti, l'homo oconomicus di Menger e di Mises non si limita a risolvere passivamente problemi di ottima allocazione di risorse date in un mondo perfettamente prevedibile. Le sue scelte, al contrario, sono il risultato di un processo di apprendimento continuo, individuale e soggettivo: è parte integrante della sua attività imparare a identificare i propri bisogni, così come le risorse necessarie a soddisfarli, posto che disponga del potere o della libertà di fare il migliore uso di quanto ha compreso, scoperto, o creato. Coerentemente, in questa versione del metodo soggettivo, i bisogni individuali non sono assunti come stabili.
È con riferimento a questo contesto, e a questi elementi di analisi, che Mises costruisce la sua teoria della moneta, contrapponendola alla teoria quantitativa, già allora dominante, e alla connessa tesi sulla neutralità della moneta, così come all'utilizzo di grandezze medie o aggregate (il livello generale dei prezzi, la domanda aggregata di moneta). Come il lettore attento potrà rilevare, tuttavia, anche quando si accetti l'impostazione soggettivistica, l'intera trattazione proposta da Mises soffre per un difetto di metodo che tra gli addetti ai lavori è noto come "apriorismo". Da questo punto di vista, è appena il caso di notare che Hayek non solo rigetta l'apriorismo di Mises, ma assume la nozione di equilibrio generale statico a fondamento, e come punto di partenza, della sua teoria della moneta e del ciclo.

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