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Teoria economica del credito - L. Albert Hahn - copertina
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Teoria economica del credito - L. Albert Hahn - copertina
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Dettagli

1990
1 ottobre 1990
Libro universitario
XXXVI-146 p.
9788871041735

Voce della critica

SCHUMPETER, JOSEPH ALOIS, L'essenza della moneta, Cassa di Risparmio di Torino, 1991
HAHN, ALBERT, Teoria economica del credito, Edizioni Scientifiche Italiane, 1990
recensione di de Cecco, M., L'Indice 1992, n. 3

Non è spesso dato agli economisti antivedere i fenomeni prima che essi si manifestino in tutta la loro ampiezza. Al contrario, parecchio tempo di solito intercorre tra il verificarsi di un fenomeno, il costituirsi di una istituzione, e il prendere coscienza di essi da parte degli economisti. Ciò è stato particolarmente vero per il credito e per le banche, che in varia forma esistono ormai da migliaia di anni. Bisogna aspettare il primo Ottocento per trovare a Napoli un uomo di genio, Francesco Fuoco, che spieghi la "magia del credito", cioè il funzionamento del moltiplicatore dei depositi pur partendo da un punto di osservazione non particolarmente prossimo alla realtà bancaria più sviluppata del suo tempo. Ma il suo esempio non pare essere seguito da altri , più vicini alla definizione odierna di economista professionista, se si eccettuano gli altrettanto isolati casi di John Law e di Henry Thornton, i quali avevano almeno il vantaggio di essere, come banchieri praticanti, a contatto con il sistema bancario anglo-scozzese.
In effetti, le pagine più interessanti su credito e banche, se si eccettua il genio isolato del poligrafo napoletano, sembrano venire costantemente da banchieri-scrittori. Gli economisti accademici non pare abbiano abbastanza dimestichezza con il funzionamento di istituzioni così legate al presente come credito e banche per razionalizzarle in maniera soddisfacente nei loro sistemi di pensiero.
Accade così che il gigantesco sviluppo della banca moderna, che ha luogo tra la metà dell'Ottocento e la prima guerra mondiale, cominci ad essere razionalizzato organicamente da economisti solo dopo un notevole intervallo, e solo quando il fenomeno del credito è divenuto troppo gigantesco per continuare ad essere ignorato dagli accademici. Ed è naturale che a prenderne coscienza, fino a formulare le proprie teorie mettendolo al centro di esse, siano gli economisti di lingua tedesca. Essi hanno assistito allo sviluppo del sistema della banca universale in Germania, che ha contribuito a trasformare in pochi decenni un paese di "costruttori di orologi a cucù e di professori di filologia classica", come lo defin magistralmente Federico List, in un poderoso sistema economico, protagonista della seconda rivoluzione industriale e dominatore del commercio dei manufatti.
Gli economisti di lingua tedesca, tuttavia, non riuscirono a conquistare l'egemonia culturale che in altri campi del sapere l'università tedesca aveva saputo raggiungere. I loro contributi si fecero quindi strada a fatica nel mondo anglosassone, e sono stati fino ad oggi tutto sommato marginali allo sviluppo di quella che gli stessi anglosassoni pomposamente definiscono la "mainstream economics". I pochi economisti anglosassoni che hanno saputo stabilire un contatto funzionale con la letteratura in lingua tedesca su moneta credito e banche, rappresentandone le conquiste nei propri scritti, sono stati considerati dai loro compatrioti come rivoluzionari o almeno eterodossi. Il caso di Keynes è il più noto e il più eclatante.
I due volumi che ora appaiono in italiano, con un ritardo pluridecennale nel caso dell'opera di Hahn, e solo ventennale in quello di Schumpeter, provano quanto ho sopra affermato in maniera lampante. In verità sarebbe forse più naturale confrontare il libro di Albert Hahn con la "Teoria dello sviluppo economico" di Schumpeter, anziché col volume di cui qui ci occupiamo. Esso è un "work in progress" da Schumpeter mai pubblicato. Sulla sua complessa gestazione a suo tempo Augusto Graziani, recensendo l'edizione tedesca e ora Gianni Nardozzi, curatore di quella italiana, ci illuminano ampiamente. "L'essenza della moneta", tuttavia, efficacemente rappresenta lo stato della maturazione del suo autore tra il primo geniale volume, cui si è appena fatto riferimento, e la altrettanto grande "Storia dell'analisi economica".
Il volume di Hahn, per espressa affermazione dell'autore, è strettamente legato al primo capolavoro schumpeteriano, e in qualche modo se ne può considerare una continuazione. Albert Hahn, come Thornton e Law era, per famiglia e per professione, un banchiere. La scelleratezza nazista lo sradicò da Francoforte e trapiantò negli Stati Uniti, dove, paradossalmente, egli continuò per vent'anni a cercare, nei suoi scritti, di far rientrare nella bottiglia il genio che aveva così potentemente evocato nella sua opera giovanile, e che secondo lui doveva considerarsi il malefico responsabile delle sciagure occorse alla Germania negli anni venti.
Nello scritto schumpeteriano di cui ci occupiamo, l'opera giovanile di Albert Hahn è citata con rispetto e ammirazione pari a quelli che lo stesso Hahn riservava a Schumpeter. Rispetto e ammirazione che Schumpeter mostra, nella stessa opera, anche nei confronti di due altri banchieri-scrittori della Mitteleuropea, Felix Somary e Karl Schlesinger.
È interessante notare come, nella seconda metà del secolo scorso e nei primi decenni del nostro, l'Inghilterra avesse smesso di produrre banchieri-scrittori o finanzieri-scrittori della potenza di Henry Thornton e David Ricardo. Lo sviluppo della società inglese aveva separato l'élite culturale e quella economica, che in precedenza erano state strettamente unite. Nei paesi di lingua tedesca, sviluppatisi più tardi, tale integrazione tra cultura e potere economico invece rimaneva. I praticanti di economia e gli economisti sorgevano dallo stesso ceppo, e l'élite finanziaria frequentava gli universitari alla pari, non ritenendoli, come accadeva alla élite finanziaria inglese, che imitava modelli aristocratici appena attinti per il proprio censo, dei precettori utili solo ad ammaestrare i giovani ma certo non portatori di alcuna verità o di nozioni anche lontanamente utili alla vita pratica e alla gestione degli affari. Di tale distanza sociale avrebbe sofferto lo stesso Keynes, e certo soffrirono in maniera assai maggiore i suoi maestri.
A Vienna a Francoforte e a Berlino politici, banchieri, ed economisti universitari, così come era accaduto a Londra e a Edimburgo tra Settecento e primo Ottocento, si conoscevano e frequentavano assiduamente. La giovane borghesia austriaca e tedesca non aveva avuto ancora il tempo di farsi assorbire dall'aristocrazia. Pratica di banca e finanza e riflessione teorica su di esse si mescolavano, permettendo il fiorire di opere geniali come la "Teoria dello sviluppo economico" di Schumpeter e la "Teoria economica del credito" di Hahn. Schumpeter avrebbe avuto il tempo di divenire ministro, e di fare anche una poco fortunata esperienza di presidente di banca.
L'assai maggiore integrazione nella vita pratica del proprio paese degli economisti di lingua tedesca che vissero nei decenni a cavallo del nostro secolo conferisce alle loro opere una dose di realismo spesso superiore a quella della gran parte delle opere dei loro confratelli inglesi. Nel caso di Hahn e Schumpeter, questo vuol dire rendersi perfettamente conto della portata rivoluzionaria del sistema creditizio per il funzionamento del capitalismo. Nella sua opera maggiore Schumpeter avrebbe, a ragione, trattato con sufficienza i contributi di quegli autori inglesi e americani che, in anni assai più recenti, avrebbero riscoperto nientemeno che il moltiplicatore del credito, dando mostra in maniera patente di ignorare completamente gli apporti degli economisti di lingua tedesca o degli italiani. E si comprende anche il suo forse un po' rancoroso rifiuto di considerare rivoluzionario il contributo del Keynes della "Teoria generale", che invece egli vede come un arretramento rispetto alle posizioni assunte dallo stesso autore nel "Trattato della moneta". E invero in quell'opera Keynes era riuscito a fare da ponte tra teoria monetaria anglosassone e teoria monetaria di lingua tedesca, assorbendo e trasformando i contributi di Wicksell, Schumpeter e Hahn, e adattandoli alla realtà del sistema finanziario inglese e di quello americano. Questo grandioso sforzo sincretico non si sarebbe ahimè ripetuto nella "Teoria generale" che è un'opera culturalmente forse meno aperta, preoccupata di descrivere la realtà angloamericana e di influire su di essa. Il rifiuto di fare i conti con la banca moderna, di calcolarne l'enorme portata per la teoria monetaria e per la teoria economica in generale, che era proprio della scienza economica anglosassone dei tempi di Hahn e Schumpeter e dei suoi imitatori di altri paesi, si è purtroppo esteso anche per i decenni successivi. Così quel che il giovane Hahn dava nel suo libro per pacifico e acquisito può costituire motivo di riscoperta e dibattito per gli economisti anglosassoni e per i loro imitatori anche ai giorni nostri. Solo l'ignoranza di tutto il filone dottrinario che inizia con Wicksell e prosegue con Schumpeter, Hahn, Fanno, Del Vecchio, Hawtrey, Robertson e lo stesso Keynes del "Trattato", estendendosi ad autori di frontiera come von Bortkiewitz e Hilferding, ignoranza che l'egemonia culturale angloamericana postbellica ha imposto persino agli economisti di lingua tedesca, può spiegare il successo recente e clamoroso della riscoperta, da parte degli economisti anglo-americani, delle ragioni della superiorità del capitalismo finanziario tedesco e giapponese su quello inglese e americano. Riscoperta che spesso avviene senza dare a Cesare quello che è di Cesare.
Se per molti l'ignoranza può esser considerata ragione sufficiente, nel caso di altri, assai più colti ma sorprendentemente ignari dei suddetti apporti, c'è forse una motivazione più sottile. Essa è data dal carattere spesso pesantemente normativo dell'economia come disciplina. Ignorare la portata rivoluzionaria della banca moderna vuol dire tentare di esorcizzarla. Einaudi, De Viti, De Marco e Jannaccone, ad esempio, conoscevano altrettanto bene di Marco Fanno e Gustavo Del Vecchio le opere di Wicksell, Schumpeter e Hahn. Sapevano di quale potenza fosse fornito il genio che costoro avevano cavato dalla bottiglia. Ma, esattamente come Albert Hahn nella seconda parte della sua vita, volevano a tutti i costi che tale potenza fosse dominata e addirittura annullata. Come nel caso dell'energia atomica, invece di cercare di utilizzarla, essi volevano impedirne la diffusione, temendone la pericolosità nelle mani di quasi tutti.
Un esempio interessante di luddismo culturale, dunque. Motivato dal timore che la comprensione parziale della magia del credito si trasformasse, nelle mani di finanzieri e governanti senza scrupoli o anche solo troppo ottimisti, in un potente strumento di distruzione. Ma al fondo del quale c'era anche la coscienza della portata rivoluzionaria di un inserimento del credito nei propri sistemi di pensiero. Il credito è, per sua natura, un macro-fenomeno che mal si adatta al mondo di microfenomeni che è l'economia marginalista. Rendersi conto di questo, come avevano fatto Wicksell, Schumpeter e Hahn vuole dire non esser più in grado di contemplare l'universo dei marginalisti con la serenità di Tolomeo, ma cadere in preda al malessere che assalì Keplero e Galileo. E magari finire di fronte al Sant'Uffizio. O quanto meno, trovarsi, come accadde a Keynes, in compagnia di strani compagni di strada quali erano i corporativisti.
Albert Hahn, come s'è detto, trascorse il resto della propria vita intento a un compito paradossale. Aveva, nel libro giovanile che qui recensiamo, provato che in un sistema di credito puro è l'investimento a creare il risparmio e non il contrario, come aveva sostenuto la virtuosa scienza economica da Adamo Smith in poi. Se non è il risparmio a limitare l'investimento, le decisioni dei singoli individui rispetto alla divisione del proprio reddito tra consumi e risparmi divengono ampiamente ininfluenti sul livello del reddito e la distribuzione del medesimo. Arbitre del livello degli investimenti e dunque del reddito e della distribuzione di esso divengono le banche, e l'economia, lungi dall'essere l'insieme armonioso e miracoloso di milioni di decisioni individuali, ciascuna ugualmente importante, appare controllata da un ristretto gruppo di istituzioni onnipotenti. Non diversamente aveva concluso Lenin, anch'egli osservando la realtà tedesca, decretando che grandi banche sul modello di quelle tedesche fossero al centro dell'esperienza di pianificazione sovietica degli anni venti.
Hahn era orgoglioso delle proprie conquiste analitiche. Credeva tuttavia che lo sconsiderato uso del potere demiurgico delle banche avesse portato alla grande inflazione tedesca dei primi anni venti. La sua carriera successiva fu quindi dedicata a rivendicare la priorità delle proprie scoperte, specie nei confronti di Keynes, e allo stesso tempo a dichiararle politicamente disastrose, anche se non poteva giungere a considerarle analiticamente errate. Un compito gravoso perché paradossale, ma di simili paradossi la storia della cultura non fa difetto. Questo atteggiamento, di colui che è in possesso di una verità maledetta, non solo impedì a Hahn di sviluppare ulteriormente il proprio pensiero nella rivoluzionaria direzione che esso aveva preso nel suo primo libro, ma lo portò anche a precorrere, nelle altrettanto malconosciute sue opere successive, il monetarismo e la "nuova economia classica".
Lo stesso, per fortuna, non accadde a Schumpeter. Il suo volume sulla moneta è un tentativo di generalizzare le conquiste fatte nella "Teoria dello sviluppo economico" nel campo dell'analisi monetaria. L'ostinazione schumpeteriana a voler riportare le proprie riottose scoperte nell'alveo della teoria dell'equilibrio economico generale e a voler fustigare la scuola storica tedesca, la teoria genetica e la teoria statalista della moneta, indicando allo stesso tempo una "terza via", forse può spiegare, come suggerisce Gianni Nardozzi nella sua introduzione, la tortuosità della sua analisi e oscurarne in parte l'originalità. Come Albert Hahn, e al contrario di Keynes, Schumpeter sembra arretrare quasi sbigottito di fronte alla forza delle proprie scoperte analitiche. Ma mentre Hahn passa il resto della propria vita a cercar di rimettere il genio nella bottiglia, Schumpeter si affanna nel libro sulla moneta a ricoprirne le vigorose nudità con le foglie di fico della teoria economica tradizionale.
La tardiva ansia di conformismo di questi due autori della Mitteleuropa non sorprende, se la si confronta con il dichiarato e impenitente anticonformismo keynesiano. Con le sue teorie Keynes riuscì a salvare il proprio mondo. Hahn e forse anche Schumpeter, esuli in un paese che consideravano inferiore al proprio, erano invece convinti di aver in non piccola parte contribuito con il proprio pensiero giovanile a distruggere ciò che loro era più caro, la Mitteleuropa di prima del 1914.

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