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In una ventina di brevi capitoli, Paola Capriolo (questa riservata, sensibile, profonda e coltissima nostra scrittrice: troppo brava, forse, per ottenere fasti e riconoscimenti dal superficiale mondo letterario italiano), esplora la scrittura e il pensiero di Thomas Mann, "uno degli scrittori più audaci nell'audace secolo del Novecento": "Con la sua signorilità di patrizio lubecchese, con la strenua e magistrale misura di chi, mentre ne sorride, persegue e attinge una goethiana classicità, quest'uomo ha sfiorato abissi di fronte ai quali noi arretreremmo". L'abisso del nulla, ad esempio. Sfiorato e esorcizzato con distacco e ironia, "nella sua insondabile perfezione". Di cui Mann avvertì senz'altro il fascino, nutrito dai suoi maestri della "scuola del sospetto": Schopenhauer, Wagner, Nietzsche, Freud. Paola Capriolo ripercorre tutta la produzione manniana, dai Buddenbrook ai racconti minori, scandagliando però con più attenzione tre capolavori: La montagna incantata, La morte a Venezia, e Doctor Faustus. "Per tre volte, proprio come in una fiaba, Mann si è avventurato a descrivere una catabasi che ogni volta è nel tempo e fuori del tempo, nella storia e fuori della storia, che illustra vicissitudini e destino della cultura europea ma ha radici anche altrove, in una nostalgia più profonda, in una tentazione così radicata nell'animo umano da meritare, forse, il pericoloso titolo di 'universale'". Corpo e spirito, salute e malattia, amore e piacere, dionisiaco e apollineo, storia e mito: nella neve di Hans Castorp e nel mare di Gustav von Aschenbach, l'autrice scopre la stessa ingannevole "ebbrezza": "una sorta di respiro profondo, di improvvisa sospensione dell'essere...il ritorno almeno momentaneo a quell'Uno cui tende la nostalgia di chi si è smarrito nel molteplice".
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