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Il libro racconta gli ultimi anni del regno di Shah Jahan, imperatore Mogul, e la guerra fratricida per la conquista del trono; la vittoria di Aurangzeb su Dara, il Wali Ahad (l'erede al trono). Questa però è soltanto la storia dell'India del XVII secolo. Il romanzo racconta questa vicenda attraverso gli occhi di due "medici" europei, Niccolò Manucci (un veneziano) e François Bernier (un francese discepolo del filosofo Gassendi), entrambi entrati a far parte della corte dei Mogul. Agli occhi dei due narratori l'India si presenta con tutte le sue stranezze, con tutte le sue differenze e bizzarie, con tutte le sue contraddizioni. Emergono infatti le descrizioni dei luoghi, molto attente puntuali, e anche una descrizione delle genti che i due europei incontrano. Nulla sfugge ai due osservatori e, infatti, mirabili e affascinanti sono le immagini che essi riescono a dare di quel mondo lontano, in cui convivono indù, musulmani e sciiti. La tolleranza religiosa di Dara si scontra con il fanatismo religioso di Aurangzeb. La guerra che si scatena fra i fratelli racconta una storia di tradimenti, di vendette e di una rassegnazione al fato. Nel romanzo storico si assiste anche alle diverse opinioni che ognuno dei due narratori si fa della situazione politica in India. Niccolò Manucci piange sei mesi per la disfatta di Dara e la vittoria di Aurangzeb, e la sorte che da tale vittoria toccherà agli indù perseguitati dal fanatismo religioso. François Bernier non può che lodare le doti machiavelliche del vincitore, deprecando l'incapacità e la mollezza di Dara. Il trono cremisi è però anche la storia di voluttà, di gelosie, di amori, di spezie e di colori. Le cronache dei due narratori europei sono anche un tentativo antropologico di comprensione dell'altro-da-sé. Questo dato risulta interessante dal fatto che, l'India descritta dagli occhi dei due viaggiatori europei, è a sua volta filtrata e narrata dall'autore Sudhir Kakar, uno dei più noti scrittori e psicanalisti indiani.
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