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Anno edizione: 2021
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Ho letto e studiato il testo ai tempi dell'Università, con grande piacere e profitto. Volume ancora fondamentale per ricostruire le fasi iniziali della nostra letteratura. L'edizione Boringhieri è bellissima
Libro che ho studiato all'università. Testo bellissimo e soprattutto bellissima edizione. Un profondo e attento saggio sulle radici della nostra cultura occidentale ovvero la cultura trobadorica. Cavalieri poeti è giullari che hanno messo le basi per la nostra cultura.
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recensione di Meliga, W., L'Indice 1990, n. 3
Fu Istvàn Frank, una quarantina di anni fa, a definire il carattere innovativo della poesia trobadorica nel contesto delle altre tradizioni letterarie, mediolatine e romanze, dell'Europa cristiana: una poesia d'arte che per la prima volta si esprimeva in una delle nuove lingue volgari, si caratterizzava in lirica e si presentava come il prodotto di autori di identità e di personalità definite.
Nel quadro culturale della Francia dei secoli XI e XII la poesia dei trovatori non rappresentava certamente l'unico fenomeno letterario: dopo il periodo della collaborazione fra chierici e giullari che aveva dato origine ai poemetti religiosi arcaici, le regioni settentrionali avevano già conosciuto la circolazione delle 'chansons de geste' più antiche e un po' dappertutto doveva essere diffusa quella poesia volgare di carattere tradizionale e folklorico, le cui tracce scopriamo nei generi meno colti della letteratura d'o'l.
Noi non sappiamo se anche il sud della Francia abbia conosciuto in uguale misura l'epica e la poesia delle feste di aprile; in ogni caso, l'opinione critica e il gusto di coloro che ci hanno tramandato la letteratura medievale occitanica non hanno consentito che, oltre alla poesia dei trovatori, molto di diverso sopravvivesse. Il nuovo movimento letterario, che si impone rapidamente nei gusti del pubblico almeno dalla fine del sec. XI, giungerà infatti a egemonizzare quasi completamente la produzione letteraria in lingua d''oc', con pesanti conseguenze sugli altri generi, in particolare sulla narrativa, ridotta - secondo la felice espressione di Alberto Limentani - a figurare come "eccezione" in un panorama singolarmente uniforme.
Il libro di Di Girolamo - che giunge dopo le traduzioni di due saggi stranieri, l'uno dovuto a U. M÷lk ("La lirica dei trovatori", edita nel 1986 dal Mulino: cfr. "L'Indice", dicembre 1986), l'altro a H. I. Marrou ("I trovatori", del 1984, Jaca Book) - si segnala soprattutto perché l'autore pone al centro il fatto letterario, sviluppato con larghezza discorsiva e ricchezza di dati, evitando così il doppio pericolo di una concisione a volte un po' ardua per il lettore non già informato (M÷lk), e di uno stemperamento dello specifico poetico nella delineazione di un quadro della cultura feudale che gli fa da sfondo (Marrou). A questo proposito è molto opportuna la scelta di inserire un congruo numero di testi nel corso dell'esposizione, riprodotti integralmente e accompagnati da una adeguata traduzione: il lettore ha così di fronte alcuni 'specimina' integrali sui quali confrontare, oltre che i dati offerti dal discorso saggistico, anche la propria capacità di intenderli e gustarli. Di Girolamo non costruisce una storia letteraria dei trovatori ma procede, più adeguatamente al fenomeno letterario esaminato, per nuclei problematici e figure chiave, non senza però una proiezione diacronica nello sviluppo dei capitoli. Il discorso rende così ragione della vicenda letteraria del movimento trobadorico, dei generi e dei livelli poetici interessati come delle fasi e dei momenti di svolta che l'hanno articolato, fino alla sua trasformazione libraria e autografa nella struttura di un canzoniere o di un 'libre' d'autore che sono all'origine dello soluzioni del Dante della "Vita nova" e del Petrarca dei "Rerum vulgarium fragmenta".
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