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Bellissimo libro che affronta in modo originale il turbamento amoroso,che non altera la vita del protagonista e i suoi atteggiamenti,ma è avvertito solo da lui.Interessante la descrizione del mondo accademico di Oxford,che l'autore sembra conoscere molto bene,dove tutti fingono di essere affaccendati,intriso di pettegolezzi.Oxford,dove è più importante esserci che fare.
Non so perchè, ma a volte Marias sembra si diverta a rendere difficili le frasi più semplici. A chi piace questo autore probabilmente amerà anche questo volume. Io resto un pò "laico": in alcuni momenti ha una capacità fuori dal comune di descrivere personaggi originali, attimi fuggenti, turbamenti dell'anima. Ma che fatica seguirlo in certe descrizioni involute e complicate.
mi basta dire che condivido il commento di maurizio mari:ma come mai da quel commento segue un voto di uno?(forse è un errore di trascrizione)
Recensioni
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Difficile per il lettore ingenuo, soprattutto se di genere femminile, sopportare a lungo l’io narrante e protagonista di questo libro minore di Javier Marías. E difficile non cedere alla tentazione di confonderlo con l’autore stesso, che, come molti sanno, è un raffinato anglista – nonché abilissimo traduttore nella sua lingua del torrenziale e folle (M.N.)
scheda di Nicola, M. L'Indice del 1999, n. 05
Tristram Shandy di Sterne – che conosce molto da vicino il mondo accademico anglosassone. tutte le anime, in inglese All Souls, è, come molti sanno, il nome di un venerando college di Oxford, dove il nostro protagonista, fra i trenta e i quarant’anni, più o meno l’età che poteva avere l’autore quando il romanzo è stato scritto, ha un incarico docente per due anni. E come gran parte degli italiani e degli spagnoli che hanno la ventura di trovarsi a lungo in Inghilterra, soprattutto se a contatto con le sue istituzioni più vetuste, passa il suo tempo libero, che a quanto pare non gli manca, a osservare il comportamento degli inglesi, a scovarne eccentricità e debolezze, e a sentirsi in fin dei conti privilegiato per il solo fatto di avere nelle vene sangue "mediterraneo" (ovvero una non ben definita superiore vitalità). Tutto questo senza che l’elegante gentiluomo mediterraneo possa (o nemmeno voglia, va detto a sua discolpa) accampare alcun tipo di superiorità morale o intellettuale rispetto ai suoi anfitrioni. In fondo il suo lavoro al college è praticamente una sinecura, va a letto con la moglie di un collega, si sente geloso se la suddetta signora ritiene giusto passare del tempo col figlio, scruta il proprio sacco dell’immondizia come a volerne trarre qualche ineffabile considerazione sull’esistenza e sulla condizione umana del single, e nel complesso mostra un’infinita miseria sotto la patina autocompiaciuta di intellettuale latin lover. Insomma, per chi scrive, un libro irritante. Che però s’illumina in due o tre punti di grande felicità inventiva, che compensano la fatica del lettore, e soprattutto della lettrice: la figura del portiere ultraottantenne che vive a intermittenza in epoche diverse, salutando i professori con nomi di colleghi scomparsi da tempo; e quella dello zoppo con il cane a tre zampe, appassionato di Arthur Machen, che diventa l’ombra misteriosa del protagonista in quegli antri di Alì Babà che sono le librerie antiquarie e di seconda mano di Oxford e di Charing Cross. Va detto inoltre che l’andamento apparentemente casuale dell’autore fra lunghe descrizioni, riflessioni e digressioni assume alla fine un disegno che si regge con grazia, facendo emergere una storia che si svolge in un arco di tempo di quarant’anni, con drammaticissima scena finale ambientata nientemeno che in India in un tramonto di fuoco. Ma se ci sia dell’ironia in tutto questo, e quanta, non ci è dato sapere. Quel che è certo è che i protagonisti di Marías tendono tutti a vivere la vita in modo squisitamente estetico, dando adito al sospetto che le loro passioni siano fatte soprattutto di buone letture, più che di autentica sensibilità.
"Non riesco a convincermi dell'idea che a seconda di come andranno le cose potrei farla finita - nientemeno che morto! - e che se questo succedesse (incrocio le dita) smetterei di sapere quello che continuerebbe a succedere agli altri a partire da quel momento. Come se mi togliessero di mano un libro che sto leggendo con infinita curiosità. È inconcepibile. Se poi fosse soltanto questo non sarebbe grave, il brutto è che non ci sarebbero nemmeno altri libri, la vita come codice unico. La vita è ancora medievale."
Un professore spagnolo vive e lavora a Oxford: subito, evidente, palese appare il legame della storia con la realtà autobiografica. Marías infatti ha trascorso due anni in questa città inglese come docente di letteratura spagnola, in un college chiamato All Souls, la cui traduzione suona Tutte le anime. Ma malgrado questi e altri legami apparenti con la realtà, il romanzo non è un'autobiografia, come non è neppure un romanzo di formazione o di memorie. Potremmo forse meglio definirlo un romanzo di impressioni, di ricordi immaginari, di legami. Eppure questa "sensazione" autobiografica ha accompagnato il romanzo sin dall'inizio (la stesura risale al 1989), tanto che l'autore ha dovuto quasi "difendersene", come racconta in un'intervista a Mino Vignolo per il Corriere della Sera: "I personaggi non sono reali però tanta gente di Oxford si è riconosciuta e la casa editrice inglese, prima di pubblicare il romanzo, mi aveva detto che stavano aspettando il via libera degli avvocati. Mi sembrava assurdo. Alla fine mi hanno chiesto di firmare una dichiarazione come quella che leggiamo all'inizio dei film in cui si dice che ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. È un caso in cui la finzione invade la realtà e la conquista, la fagocita."
Come conquista e fagocita il lettore in una trama quasi inesistente (ma non è affatto importante), con una scrittura fluida, misurata, attenta, con la descrizione di un'umanità affascinante, divertente, anche tragica, ma che lo diventa solo perché narrata da lui, immaginata da lui. Come l'appena letto e già indimenticabile Will, custode dell'Institutio Tayloriana; come i librai antiquari inglesi, tratteggiati come una categoria ricca di spunti interessanti di analisi e rappresentati nel racconto dai coniugi Alabaster, gestori di un piccolo negozio "a metà strada tra il luogo accogliente e il luogo del terrore". E come il memorabile terrier rossiccio con tre zampe, di cui lo scrittore spagnolo ci fornisce una descrizione degna di un etologo e arricchita dalla storia drammatica della sua menomazione, il quale, in compagnia dell'amatissimo padrone, strano membro di una strana compagnia di "iniziati" alla lettura di Arthur Machen, la Machen Company (le cui finalità sono avvolte nel mistero) gira per le vie di Oxford, visitando librerie e biblioteche. Come, ancora, i mendicanti, silenziosi ed errabondi, dai quali il protagonista si sente attratto, temendo anche di identificarsi con quel modo di vivere che l'attira e lo spaventa al tempo stesso. Una splendida dissertazione sulla volontà della maggior parte degli uomini di tenere nascosta la propria intimità, utilizzando per farlo il metodo di parlare di quella altrui (e semplifico, ma Marías traccia un ritratto dell'umanità, in due pagine, memorabile) varrebbe da sola la lettura del romanzo. Per non dire delle considerazioni sulla spazzatura, meglio, sul secchio e sul sacchetto nuovo che, preparato la sera, diventa "l'inaugurazione o la promessa del nuovo giorno: tutto deve ancora accadere"... Quello con la spazzatura si trasforma in uno dei pochi, o forse l'unico, rapporto costante e importante per un uomo "solo e oltrettuto all'estero". Un pensiero minimalista, un'analisi semplice che è tuttavia lo specchio di un romanzo basato sulla quotidianità, sulle parole e sulla memoria, sui sentimenti (anche sull'amore) di un gruppo di uomini e donne con storie personali molto differenti, che si ritrovano in un college inglese, riuniti per caso, immersi in una società, talvolta sfuggente ma gravida di interessi, talvolta dura e impenetrabile, descritta magistralmente.
A cura di Wuz.it
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