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"Lei, mio caro Soren è così diverso dalla mediocre merce celeste". E' Thomas Mann a parlare, trovandosi di fronte il genio danese autore dell'Aut Aut. Siamo fra le enormi rive dell'aldilà, scenario di infiniti, teatro perfetto per quest'incontro fra due spiriti tanto eccezionali. E c'è un desiderio, una prova da assolvere: scrivere un romanzo su Kierkegaard. Quale penna può farcela meglio di quella del Mago di Lubecca? Eccoli a discutere di tutto, lo scrittore avvolto nei suoi sigari Maria Mancini, quelli preferiti da Castorp nella Montagna incantata, il filosofo coi suoi istinti rabbiosi, i suoi fastidi mai vinti: "Io sono una forchetta e infilzerò Voi e il mondo intero". L'idea di Huizing prende il cuore e lega la mente alla pagina in una persuasione continua, ma il racconto è giocato su attente mosse di ironia che sfrondano con gusto ogni intento serioso. E' un lieve divertimento, profondo e amorevole insieme. E' indubbio d'altra parte che ci si trovi davanti una coppia non comune, non "quei maestri zen che si cullano con la testa nel gomito e inalano il proprio odore stantio come fosse aroma d'incenso". I temi cari a entrambi si fondono nel racconto e di volta in volta escono nell'intreccio dei dialoghi: la convivenza fra teologia e filosofia, la malinconia come il miglior abito indossato dalla disperazione, il mistero del femminile ("anche nella vita eterna la vanità delle donne continua ad essere terribile"), lo stile come elemento essenziale (Mann non transige su questo punto), l'elemento demoniaco. Un percorso di questioni altissime calato nel vento dell'amicizia, della stima, dell'affetto, una scuola nuova dove tutto ricomincia, ma dalle cose amate e inseguite in terra. Commuove a un certo punto la scena in cui Mann prende sulle spalle Kierkegaard,che si è ferito a un piede.L'umano non smette mai di violare con la sua meraviglia anche le leggi ultraterrene. Presenza e materia che non abdicano del tutto. E un Kierkegaard che alla fine vincerà un premio.
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