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La tesi del saggio è che commercio e globalizzazione, rafforzate dalle istituzioni liberaldemocratiche, sono i migliori antidoti a povertà e disuguaglianza. Butler sottolinea che la società è dinamica: il modo migliore per contrastare la disuguaglianza non è la redistribuzione, ma la creazione di ricchezza. Una società aperta ha certamente un qualche livello di disuguaglianza. Questa società, grazie all’innovazione, al dinamismo, alla libertà di scambio, produce ricchezza tanto per i ricchi quanto per i poveri. Questa società, inoltre, può concedersi misure di welfare e di sostegno. Occorre, tuttavia, fare attenzione a queste misure. Butler sottolinea che la società è per lo più composta dalla popolazione appartenente al ceto medio, che beneficia di misure di sostegno e di welfare più dei veri e propri poveri. Questo è il corpo elettorale più numeroso e che vota sulla base dei propri interessi, che non sono gli interessi dei poveri. I punti fondamentali mi sembrano tre: la società è più florida se crea ricchezza anziché limitarsi a redistribuire quella che c’è; è più razionale accettare che i ricchi diventino più ricchi nello stesso tempo in cui i poveri escono dalla povertà, anziché voler togliere ai ricchi per dare ai poveri (e magari dare solo in termini assistenziali); chiunque è disponibile a pagare una certa somma per assistere a una partita o gara di un qualche sport, oppure a un concerto o a uno spettacolo, senza con ciò recriminare la disuguaglianza tra chi viene pagato per esibire il proprio talento e chi assiste all’esibizione. Dire che la globalizzazione ha aumentato le disuguaglianze può essere vero, ma è vero anche che i poveri sono diminuiti. Perciò la disuguaglianza è un falso problema e pensare in termini di uguaglianza / disuguaglianza conduce a idee false. Si può non concordare con tutto ciò che Butler scrive. Ciò non toglie che i ragionamenti sono chiari. Il libro è un ottimo strumento che aiuta a liberarsi di categorie sbagliate.
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