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Rischiare di bruciare le tappe, in poesia, è un fatto concreto, acclarato, amaramente frequente, a maggior ragione se ci si imbatte in un periodo storico caratterizzato perlopiù dall'apparenza, dalla voglia di mettersi in mostra, di prevaricare su tutto e su tutti, anche artisticamente, attraverso strumenti pubblici preferenziali. Gianluca Furnari autore, anzi già grandissimo poeta, ci regala con il suo "Vangelo elementare" un'opera prima che è, senza ombra di dubbio, capolavoro, unicità, canone; e lo fa, diversamente dalla maggioranza, in punta di piedi, silenziosamente, consapevole dell'immenso talento di cui dispone e di cui potrà contare anche in futuro. Ciò che balza fin da subito all'occhio è la sua precisione metrica abbinata a una innovativa ventata di classicità moderna, in cui, come impeccabilmente nota il poeta Giuseppe Conte, "il tono lirico tende a quello epico" e mai, in nessuna occasione, con il minimo presentimento di debordare verso toni patetici, falsi o autoconsolatori. È chiaro, fin dal primo verso ("Il primo appuntamento fu alla luce), come l'origine, la nascita, l'illuminato guizzo del venire al mondo, siano la struttura portante di un edificio poetico indistruttibile perché costruito su basi solide e quindi predisposto a non crollare nemmeno di fronte ai terremoti, agli tsunami della vita, come può essere la perdita di un padre, in quella interminabile «quarta vigilia noctis» così lucidamente oscura, tormentata perfino dal dubbio di non essere più sé stessi. L'elemento principale, fra le trentasette stazioni di transito, sono quindi gli elementi basilari dell'esistere (quattro o infinitamente indivisibili) letti come un vangelo tutto da riscrivere, partendo dal primo battito, le prime luci, i primi scalpiti, le prime botte della vita che va avanti ugualmente. Allora avanti, leggiamolo, indefinite volte, per intero, questo lucido mistero.
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