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Scrittura contorta, lenta, non capace di coinvolgermi mai.Ho letto solo meta' libro,che mi ha dato solo noia e fastidio. Soldi spesi malissimo
Concordo con il lettore che ha scritto l'unica recensione di questo libro (ma l'abbiamo letto così in pochi??) quando dice che non è di facile lettura. E' un libro molto particolare che però ha diversi limiti. A me non è piaciuto lo stile con cui è scritto, non è piaciuto il fatto che forse (e dico forse) ci siano al massimo tre dialoghi del protagonista, non sono piaciuti gli stereotipi classici del maestro in pensione, del rottamaio, i discorsi vaghi di questi personaggi che comunque non portano a nulla, non ti portano a capire molto di più del protagonista, di quello che pensa, di quello che vuole. E non mi è piaciuto vedere che tutti i luoghi dell'infanzia del protagonista si siano trasformati, guarda a caso proprio tutti, in luoghi di perdizione e di sesso. Scrittura contorta, lenta, non capace di coinvolgermi mai. L'ho letto, è vero, ma mi ha dato ben poco.
Libro che sotto molti aspetti si rifà a “la luna e i falò” di Cesare Pavese, il “ventre del comunista” è un lucido e appasionato viaggio in un Italia post regime, divisa fra cattolici e comunisti. Il suo protagonista, Demetrio Gandolfi, uomo “troppo giovane per la resistenza, troppo vecchio per il Sessantotto”, destinato ad un’esistenza mediocre, compie un viaggio a ritroso alla ricerca delle proprie radici attraverso i luoghi che hanno visto la nascita di un comunismo embrionale e non ben definibile sotto il profilo dei valori. Ed è proprio lungo il percorso che Gandolfi è costretto a costatare che tutto è cambiato. Tuttavia il libro, dotato di un’ironia graffiante, è soprattuto un’analisi di quel fenomeno, che a preso poi il nome di comunismo, nato dalla resistenza e da sogni ingenui fatti da ragazzi che poi hanno ceduto alle comodità di una vita borghese pronti solo “a sfiorare le occasioni e mai a coglierle” un comunismo visto solo come mezzo di transizione verso qualcos’altro, “contraddittorio, strano, strambo, diverso. Forse i comunisti primi erano tutti così, forse all’origine, tutti avevano mescolato i loro Rapagnetta con la casa del popolo”. Ed è proprio questo forse il tema più importante e delicato affrontato nel libro di Faeti: le contraddizioni di un comunismo viscerale destinato a morire come il protagonista che ormai non si riconosce più in mondo cambiato intriso di realismo e non più disposto a sognare. E alla fine l’ultimo comunista è costretto ad ammettere di non essere mai stato davvero un comunista, forse non ha mai creduto davvero in quegli ideali ma si è solo lasciato trasportato da loro. È stato solo un sogno che avrebbe potuto avverarsi e che poi non è stato. Libro di non facile lettura, scritto con un linguaggio ostico e prolisso, non sempre adatto ai personaggi, tuttavia l’ultimo comunista offre al lettore, oltre a notevoli spunti di riflessione, anche un’interessante analisi antropologica e un affettuoso e nostalgico omaggio ad un’Italia ormai perduta per sempre.
Recensioni
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recensioni di Troncarelli, F. L'Indice del 2000, n. 04
Qualche anno fa ho trovato la biblioteca di Alessandro Poerio: i libri del patriota e dei suoi discendenti erano stati venduti in blocco a un ometto che ancora gira col triciclo dalle parti di Campo dei Fiori e costavano dalle mille alle cinquemila lire l'uno. Ho comprato L'arte dello scrivere in prosa con la dedica autografa di Basilio Puoti, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi di Leopardi stampato da Le Monnier nel 1842, il Fausto di Wolfango Goethe del 1835 tradotto da Scalvini, con dentro per caso una lettera di Domenico Guerrazzi. Poi mi si è stretto il cuore e sono dovuto andare via anche se avrei voluto comprare tutto. Quei libretti polverosi ridotti a merce da bancarella erano le reliquie di nomi gloriosi: poeti, martiri, illusi, ombre dimenticate. E la biblioteca gelosamente custodita da uno di loro era finita sulla strada.
Quelli come me non possono non capire l'eroe dell'ultimo romanzo di Antonio Faeti, "uno che non era mai riuscito a diventare un libraio". Quest'uomo che del commercio dei libri vive, non riesce ad accettare che i libri siano una merce, né che siano merce le parole. Eppure, nel mondo mercificato di oggi, nello squallore quotidiano che ci circonda, le parole sembrano oggetti, prodotti di un supermercato dove si vendono relazioni umane, sentimenti prefabbricati, sorrisi stereotipati. Il librario Demetrio Gandolfi non riesce a partecipare alla fiera delle vanità contemporanea, come non riesce a partecipare a una fiera del libro o a una festa in discoteca. Lui non lo dice, e anzi parla sempre di tortellini e di lambrusco, ma in segreto sillaba in dialetto felsineo "La carne è triste e io ho letto tutti i libri...", senza riuscire a trovare né la saggezza, né il torpore. Eppure sotto la corazza dell'apatia felliniana brontola uno stomaco da comunista: un ventre pronto a fagocitare amore, a ruminarlo e a digerirlo, felice insieme ad altri inquieti vitelloni dotati dello stesso sordo appetito. Come Lucio Dalla, il rispettabile libraio di Faeti potrebbe dire: "A chi mi crede prendo amore e amore do quanto ne ho... / Rubo l'amore in Piazza Grande". Ed è proprio in Piazza Grande e dintorni che questo perbenista randagio, questo vecchio adolescente, ordinato e sbandato, si ritrova con tanti giovani vecchi, precocemente invecchiati dalle delusioni, dai rifiuti, dalle umiliazioni. E allora esplode una rivoluzione delle viscere, una feroce, stramba, rabbiosa esplosione di vitalità: un Carnevale di mezzo inverno in cui s'invera il mondo alla rovescia, l'utopia di Bertoldo. Demetrio Gandolfi è risucchiato nel vortice del movimento del Settantasette e si fa ebreo cogli ebrei, gentile coi gentili: "era lì mentre si svolgeva l'assalto al famoso ristorante, tanto ricco, così ben frequentato, e non allibiva mentre innumerevoli bottiglie di vino pregiatissimo venivano rotte... Era un atto che poteva compiersi solo così: berlo quel vino potevano ormai solo i lanzichenecchi, ma fra quei giovani non se ne vedevano. A gruppi lanciavano in alto grandi forme di parmigiano che ricadevano come bombe opime e si frantumavano: di quei brandelli alcuni venivano mangiati". Questa fratellanza da orda primordiale è tutto: il comunismo viscerale celebra il suo trionfo effimero e si predispone alla morte che arriva subito, inesorabile.
Faeti è arrivato alla narrativa dopo essersi occupato da studioso di libri degni di un rigattiere, di fumetti, di registi dell'horror, "ciarpame reietto tanto caro alla mia musa". Solo chi comprende le buone cose di pessimo gusto del passato comprenderà le pessime cose del presente senza perdere il gusto per le cose buone. Come ogni venditore di almanacchi che si rispetti, Faeti vorrebbe dire a ogni passeggero che incontra che forse l'anno che verrà sarà migliore: ma non riesce a vendere illusioni ed è costernato, e noi gli siamo grati del suo tormento, del suo fallire, dei suoi rimpianti.
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