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"Il Portogallo è attualmente un cataclisma in marcia. Ci sveglieremo? Ci salveremo?", scriveva l'economista Antonio Oliveira Salazar sul giornale cattolico "Imparcial" del 14 marzo 1912, a nemmeno due anni dall'avvento della repubblica, seguito da un ventata di laicizzazione, e poco prima della riscossa cattolica. Quest'ultima, per Daniele Serapiglia, attivo presso l'Università di Bologna, si alimentò del cosiddetto miracolo di Fatima (1917), ma quasi paradossalmente trovò in un tecnico come Salazar, che divenne ministro delle Finanze, la propria figura-traino: conclusasi la breve parabola del regime di Sidonio Pais, fu lui a mediare fra monarchici, fascisti e repubblicani conservatori, riuscendo infine a varare l'Estado Novo con la Costituzione del 1933, anche se lo iato fra teoria e pratica ne impedì un'effettiva realizzazione: fino al 1956 non esistettero le corporazioni, ma solo un Consiglio corporativo. Molte le sorgenti di quell'esperienza: fascismo (Salazar fu un ammiratore di Mussolini, citandone la Carta del Lavoro fin dal primo articolo dell'Estatuto do Trabalho Nacional), istanze d'ordine (non a caso restò a lungo presidente il generale Carmona), maurrassismo (propugnato nell'avamposto iberico soprattutto dall'Integralismo lusitano, ma noto ai più), cattolicesimo sociale (Salazar apparteneva al Centro Académico de Democracia Cristã; l'opera di Giuseppe Toniolo era moneta comune fra le élites antisocialiste portoghesi) e tradizionalismo entrano a vario titolo in quest'attenta ricostruzione del sorgere e dell'evolversi di uno stato corporativo che, pure, si giovò di uno status di neutralità durante la guerra mondiale.
Daniele Rocca
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