L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
Se la concretezza di ciò che si guarda non dipende dalle cose stesse, ma dalla capacità di chi le osserva di farle proprie, il fatto che un viaggio sia reale o soltanto immaginario è un dettaglio del tutto ininfluente. È per questo che Cesare de Seta, raccogliendo i reportage che ha scritto su diversi quotidiani a partire dalla fine degli anni ottanta, racconta di come i viaggi che ha compiuto davvero e quelli che ha intrapreso scartabellando tra i libri abbiano finito per confondersi irrimediabilmente nella sua memoria. In entrambi i casi, la corrente che la sua scrittura risale è infatti quella del tempo, dal momento che ama riportare alla luce quei Luoghi e architetture perdute (1986; cfr. "L'Indice", 1987, n. 4), la cui esistenza è appesa al filo dei ricordi di chi ne studia le ultime fragili tracce.
Il nume tutelare che il "navigar pittoresco" di de Seta evoca più volte è l'amico Alberto Arbasino, con cui concorda nel concepire la letteratura di viaggio in opposizione alla "bulimia" del turismo, come ricerca stratigrafica dei riferimenti artistici che nel corso della storia hanno reso ciascun luogo diverso dagli altri. La tradizione letteraria cui si iscrive de Seta che sceglie come guide di viaggio i resoconti odeporici del Grand Tour, da Charles de Brosses a Johann G. Seume è infatti quella di Angelo Maria Ripellino e di Cesare Brandi. Oppure del più intelligente scrittore di viaggi e di architettura della letteratura inglese: quel Sacheverell Sitwell che proprio Arbasino cita come modello di sofisticazione erudita.
Il risultato è un'enciclopedia di città visibili, che scorre l'indice alfabetico dalla a di Atene alla z di Zurigo, nel tentativo di estrarre dalle coordinate del paesaggio un'idea di Europa. In questo senso, de Seta si avvicina alle poetiche contemporanee del cosmopolitismo, al modo di George Steiner o di Claudio Magris. A distinguere lo spazio urbano europeo, è a suo avviso un linguaggio comune tra il territorio e chi lo abita: fin dal Rinascimento, infatti, la scommessa dell'architettura è stata la ricerca dell'imago urbis come ideale di armonia tra l'individuo e il cosmo. Citando le impressioni romane di Giacomo Leopardi, de Seta invita a sostituire una concezione denotativa dello spazio, come ciò che è gettato tra gli esseri umani per aumentarne la distanza, con una connotata in senso dialettico, per cui lo spazio è cornice della civiltà e va valutato in ragione della sua abitabilità.
L'omogeneità tra le leggi della geologia e quelle dei moti dell'anima era del resto l'intuizione di uno dei suoi romanzi più significativi, Terremoti (2002; cfr. "L'Indice", 2002, n. 10), il cui protagonista, in Irpinia dopo il disastro del 1980, scopre che un innamoramento implica scosse non dissimili dagli sconvolgimenti della terra. È forse da questa convinzione che nasce il sapore metafisico dei suoi Viaggi controcorrente, che legano la poetica dello spazio alla questione dell'identità. "Viaggiare significa scoprire qualcosa", scrive de Seta, rifacendosi a Heinrich Heine, "sia pur poco significante, che era dentro di noi e che non sapevamo ci fosse". Luigi Marfè
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore