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Avevo gradito tre uomini paradossali. Ma questo è stato una delusione. Quasi un romanzo senza senso, idea piccola e tirata troppo per le lunghe. Non consiglio.
è una operazione diversa rispetto ai due precedenti, la trilogia perde l'omogeneità, ma dopo le prime perplessità il lavoro sulla lingua funziona. Funziona è tutte le voci convergono. Questo libro non va lasciato sul comodino e letto a capoversi prima di addormentarsi, va letto di filato quando si riesce ad avere un po' di tempo sano. Bella l'idea del parroco che si rifiuta di dire messa. Bella la descrizione della provicia arricchita di nani da giardino.
Terzo volume della saga iniziata con Tre uomini paradossali nel 2004 e proseguita col magistrale Scirocco nel 2005. Tornano i protagonisti dei romanzi precedenti: Andrea, Lara e Cristiano. Coi loro tic, le loro nevrosi, le loro psicologie da capogiro. La visione del cieco è un pugno nello stomaco al qualunquismo del Bel Paese. De Michele ambienta una storia cruda (così simile alle vicende di Cogne e del piccolo Tommy di Parma) in un piccolo (e riconoscibile quanto basta) paesino di montagna, dove un male atroce e banale esplode e devasta, conficcando le radici negli aspetti più beceri della società benpensante e benestante. C’è di tutto in mezzo ai Suv e alle villette coi rottweiller di guardia: cocaina, scambi di coppia, violenza domestica, inciuci, malapolitica, corruzione, facce da culo e persino un po’ di noia. Andrea, in montagna, ci si rintana per curarsi l’asma (eredità del G8 di Genova) e finisce per scivolare (controvoglia) nel torbido del crimine efferato, insensato, sovresposto dalla tv nazionale. Una bambina barbaramente uccisa stravolge il quieto vivere del borgo, lascia suppurare il male. Intreccio magistrale, non c’è che dire, ma il vero punto di forza del romanzo è la lingua. Seguendo le idiosincrasie del parlato, con un linguaggio a mezza via tra neorealismo, documentario e docu-fiction, De Michele si conferma il maestro dell’iperrealismo. Nessuno, in Italia, va così a fondo.
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