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Cento anni fa moriva De Amicis, il papà di Cuore (1886). Come ricordarlo, evadendo le celebrazioni o le critiche più scontate e datate? L'editore Avagliano ripropone un testo che ha avuto poca fortuna negli ultimi decenni. Risale al 1972 l'ultima ristampa di La vita militare che, se non erro, è quella del Club del Libro per la cura di Lorenzo Sbragi, cui ora e non a caso si rifà più volte Riccardo Reim nella sua introduzione. Del resto, non c'è molto altro da citare in termini di attenzioni critiche.
Ai nostri giorni, De Amicis, le sue battaglie, le vince in altri campi, anche perché la "canonizzazione", nel bene e nel male, gli è stata offerta grazie ad altre testualità: le "favole spagnole", le Pagine sparse rilette da Madrignani, la letteratura di viaggio percorsa da Bianca Danna, il Cuore rovesciato da Eco, certo, ma anche il Primo maggio risorto grazie a Bertone e Boero e riletto da Timpanaro e Contorbia. Nel protrarsi del secondo dopoguerra e di alcuni suoi schemi di fruizione non poteva essere altrimenti. Insomma, non stupisce che il giovane De Amicis conosca il successo con i racconti di La vita militare nel 1868 e nel 1880, con la nuova edizione, rivista e completamente rifusa dall'autore con l'aggiunta di altri testi, e poi ancora tra Otto e Novecento e lungo il Ventennio: l'esercito è una delle nuove istituzioni dello stato unitario. Ma non stupisce nemmeno che il De Amicis della vita militare, per quanto molto "deamicisiana", non sia quasi più letto cento anni dopo, quando semmai l'attenzione è puntata sul versante antimilitaresco di certa nostra letteratura postunitaria: dai Drammi della vita militare. Vincenzo D. di Tarchetti, a puntate a partire dal 1866 e in volume nel 1867 con il celebre titolo Una nobile follia (nel 2004 riproposto da Mondadori a cura di Roberto Carnero), all'ultimo lavoro di Lucini, rimasto allo stato di bozze presso la Libreria Politica Moderna di Roma, nel 1914, alla morte dell'autore, ovvero quell'Antimilitarismo che oggi invece è (significativamente) disponibile negli "Oscar" per la cura di Simone Nicotra e con la postfazione di Luigi Ballerini.
Meritoria, quindi, l'iniziativa di Avagliano, perché controcorrente e tesa un po' a sfatare, con l'aiuto di Riccardo Reim, la retorica del mondo militare che molti lettori potrebbero scorgere in questo De Amicis quasi per partito preso. Cadendo in errore, almeno in parte. Fin dall'inizio, infatti, ci sembra di sentire un coro contro la "naia" più che un'esaltazione del militarismo. Si legga, a questo proposito, l'attacco del volume con Una marcia d'estate e si segua il filo rosso (anche metanarrativo) del marciare dei (con i) soldati in Una marcia notturna, per esempio, ai "primi giorni d'ottobre", con "una brezzolina d'autunno avanzato". Di giorno, di notte, con il caldo, con il freddo, assetati o assonnati, i militari proseguono il loro viaggio, che è anche il vagare incessante (e metaforico) dell'individuo, oltre che del militare di carriera. Un uomo, un militare che si confronta anche con i problemi di un'umanità e di una femminilità "impazzata", come in Carmela, dove i temi della salute e della malattia, i discorsi della scienza e del fantastico, tipici di tante trame narrative "scapigliate", emergono con forza.
De Amicis, infatti, non esita a tracciare quadri inquietanti e finanche scabrosi. Il suo limite è quello di amare il lieto fine, di volere, in un certo senso, ricomporre il mondo in modo armonioso, con l'esercito (prima che con la scuola). E quando non ci riesce, perché non c'è un "bastimento che parea portato dal vento" e la "marcia" deve comunque continuare, lontano da un porto di pace, da un villaggio, dalle luci di un caffé, preferisce smettere di seguire il reggimento: "Quelli a cui piaccia lo seguano; io lascio che faccia il suo cammino, gli auguro che trovi un buon campo, e vi mangi un rancio saporito e vi dorma un sonno lungo e tranquillo, perché, a dire il vero, questi poveri soldati ne hanno bisogno e se lo son meritato". Luciano Curreri
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