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Il sottotitolo del libro fa riferimento all’omonimo film di Robert Mulligan, che il futuro regista – cresciuto in un rigido ambiente di religione battista, dominato da un fondamentalismo che gli proibisce di bere, fumare, ballare, fare sesso, ascoltare musica e anche di andare al cinema – riesce a vedere di nascosto nel lontano 1962, quando frequenta l’ultimo anno di università, e che avrà un ruolo fondamentale nel determinare la direzione del suo percorso artistico. Seppur molto tarda, tale iniziazione mediatica ha il duplice merito di innescare un processo di progressiva emancipazione dalla famiglia d’origine e di accendere la passione nei confronti del cinema. Passione che ha modo di esprimersi sul piano pratico-realizzativo soltanto alcuni anni dopo, nel momento in cui, diventato professore universitario di Humanities ai college di Westminster e Clarkson, viene avvicinato da un gruppo di studenti che gli chiede una consulenza per un film che avevano intenzione di girare. Questa prima esperienza amatoriale – una parodia di Mission Impossible intitolata The Searchers, purtroppo andata perduta – lo spinge ad abbandonare l’insegnamento per dedicarsi completamente al mondo delle immagini in movimento. Decide così di accettare un posto come fattorino presso una casa di post-produzione. Dopo dieci mesi è però già assistente del principale, per passare poi in breve tempo al montaggio. È in questa veste che incontra Sean Cunningham, il giovane produttore, con il quale realizza nel 1972 L’ultima casa a sinistra, una folle e scandalosa commedia dell’orrore dal taglio documentaristico che ottiene un grande successo commerciale. A partire da quest’opera d’esordio costruisce una filmografia, che ne fa uno degli autori più interessanti del genere horror, le cui punte di diamante sono costituite da Le colline hanno gli occhi (1977), Nightmare dal profondo della notte (1984), Il serpente e l’arcobaleno (1988), La casa nera (1992), Scream - Chi urla muore (1996). Nel film Il buio oltre la siepe si possono trovare quasi tutti i motivi che contraddistinguono l’universo poetico di Craven: il tema della mad house, la casa vista come prigione per chi vi è rinchiuso e come luogo pericoloso per gli altri; la presenza di segreti proibiti e opprimenti; la pazzia e la malefica influenza del passato; l’esistenza di personaggi degenerati; l’ambivalenza della paura, che atterrisce e attrae allo stesso tempo. Non vi è invece alcuna traccia di quello che il regista di Nightmare considera il terreno d’elezione del cinema, vale a dire il sogno, inteso come spazio d’espressione dell’irrazionalità e delle verità più scomode.
recensioni di Quaglia, M. L'Indice del 1999, n. 07
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