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DROSTE-HULSHOFF, ANNETTE VON, Ledwina, SE Studio Editoriale, 1988
DROSTE-HULSHOFF, ANNETTE VON, La casa nella brughiera (Poesie 1840-1846), Rizzoli, 1988
(recensione pubblicata per l'edizione del 1988)
recensione di Isselstein, U., L'Indice 1989, n. 7
Finalmente si possono leggere in traduzione alcuni dei testi principali di quella schiva nobildonna ottocentesca che i tedeschi considerano la loro più grande poetessa: Annette von Droste-Hülshoff (1793-1848). Duole constatare una volta di più che per un'infelice combinazione di congiunture culturali un'autrice di questa rilevanza sia a lungo passata inosservata fra le maglie delle reti editoriali, nonostante i ripetuti sforzi di Giorgio Cusatelli di proporla all'attenzione del pubblico italiano.
Ora al capolavoro narrativo della Droste "Die Judenbuche", già disponibile in una buona traduzione (A. von Droste-Hülshoff, "Il faggio degli ebrei" a cura di F. Politi, Salerno, Roma 1987) Bruna Bianchi ha aggiunto "Ledwina", un testo giovanile autobiografico che pur nella sua frammentarietà risulta un racconto nient'affatto trascurabile. "Ledwina" racconta, in magistrali e spesso gustosi quadri d'epoca, in dialoghi e sogni, l'incerta situazione esistenziale di una giovane baronessa di campagna che per scarsa salute e troppa sensibilità, fantasia e intelligenza si trova in conflitto con il modello femminile dell'epoca e con l'unico destino pensabile per una ragazza del suo ceto: il matrimonio. L'interesse del racconto non sta tanto nella trama, ancora fitta di ingredienti romantici, ma nel nuovo modo di narrare già poetico - realistico, nella sottigliezza con cui riesce a captare la psicologia dei personaggi l'atmosfera delle situazioni sociali e le sfumature di un preciso ambiente locale.
Ma la Droste è grande anzitutto come poetessa. Finora la si conosceva soltanto attraverso la raffinata presentazione di alcune poesie di Lea Ritter - Santini per il "pomerio" (Libro VII di "In forma di parole", Elitropia, Reggio Emilia 1983, pp. 709-744). Ora invece un'ampia e felice scelta di poesie curata in modo esemplare da Giorgio Cusatelli è accessibile in un bel volumetto della Bur.
Annette von Droste si oppone a facili classificazioni. La sua presa di posizione antiliberale nelle aspre lotte ideologiche del "Vormärz", le sue arie di 'bas bleu' aristocratica e provinciale, rassegnata all'angusto stato di zitella, la sua militanza cattolica sembrano confinarla nell'area della restaurazione. Ma chi volesse cooptarla per la neorestaurazione dell'oggi si troverebbe in difficoltà: che dire della radicalità con cui Annette penetra negli abissi della propria anima fino ai limiti della follia, scoprendone la sostanziale mancanza di fede proprio in un ciclo di poesie religiose che inneggia paradossalmente al Dio morto ("L'anno liturgico", purtroppo escluso dall'antologia di Cusatelli, essendo anteriore al 1840)? Che dire della profonda comprensione per il popolo oppresso, vittima della disgregazione sociale prequarantottesca che ispira ogni pagina della "Judenbuche", paragonabile soltanto al "Woyzeck" del contemporaneo Georg Büchner, il quale, com'è noto, era schierato in campo opposto? Che dire ancora dell'insofferenza per gli stereotipi femminili che inchiodano la giovane Ledwina tra gli stretti e patogeni confini imposti alle donne, e che ispira la tarda poesia "Alla torre"? Meglio di tanta letteratura femminile di scarsa consistenza letteraria, questi testi sono destinati a suscitare l'interesse di quel nuovo femminismo accademico e editoriale che giustamente indaga il passato per ricostruire la storia non scritta delle donne e per capire se esista una cultura femminile diversa da quella maschile e come la si possa definire. Si vedrà che c'è molto da imparare a proposito delle donne non solo dalle loro biografie, ma anche dai testi di una grande poetessa conservatrice.
Direi che bastano i due volumi ora disponibili, insieme alla "Judenbuche" per studiare questioni fondamentali come la percezione e rappresentazione femminile della realtà, del confine incerto e ambiguo fra il mondo reale e quel mondo immaginario che spesso è l'unico spazio concesso alle donne. Sono esperienze a volte gioiose, ma più sovente angosciose che si manifestano, anche controvoglia, nelle scelte stilistiche. La Droste è un esempio di come nella produzione poetica la convenzionalità comporti infallibilmente una caduta di tono: il notevole dislivello qualitativo nella sua opera coincide appunto con l'adesione o meno alle convenzioni del suo ambiente sociale e culturale. Dove essa se ne distacca, cogliamo dei frutti poetici di originalissimo vigore, di tinte cupe e perturbanti, anche se spesso mitigato dall'umorismo. Sono grandiose le poesie di una natura tutt'altro che romanticamente felice, colta con precisione quasi allucinata, le vibranti poesie d'amore di una donna ormai rassegnata al ruolo materno, le ballate che si addentrano nell'irrazionale, nel parapsicologico famigliare all'autrice e alla tradizione popolare westfalica.
E una fortuna che la Droste abbia trovato due fra i nostri migliori traduttori. In particolare le poesie pongono problemi notevoli che però Cusatelli è quasi sempre riuscito a risolvere in modo convincente. Se i testi hanno perso qualcosa della loro spigolosità originale, questo era forse inevitabile in una lingua "dolce" come quella italiana. Il saggio introduttivo costituisce una monografia essenziale e direi compiuta dell'autrice e della sua opera.
Intelligente e stimolante anche l'introduzione di Bruna Bianchi a "Ledwina", anche se dispiace un po' il tono perentorio con cui espone la sua chiave interpretativa: unilaterale, anche se senz'altro degna di essere discussa.
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