Già a metà di questo libro di Sergio -lvarez appare chiaro quanto disperante sia la condizione del protagonista, avviluppato in una serie di vicende nere, di lutti, di amori frantumati, di abbandoni, di narcotraffico, di sesso sudato. Un uomo il cui anonimato sta a rappresentare il popolo colombiano in generale e le cui vicende sono anche la "serie di tragedie, ingiustizie e improvvisazioni che è la storia della Colombia". 35 morti, in fondo, il suo pessimismo lo dichiara fin dal titolo: 35 fini tragiche che, simbolicamente e metodicamente, scandiscono una storia lunga 35 anni, dal 1965 alle soglie del 2000. Il teatro delle storie narrate è Bogotà (ma anche la Colombia rurale, e infine la Spagna), dove un bambino nasce per imparare a convivere da subito con la morte, con la tragicità dell'esistenza. "Mio papà diceva che una morte al momento opportuno dava respiro alla vita; tuttavia, la morte di mia mamma non solo mise fine alle sue velleità da filosofo della domenica, ma lo lasciò anche senza forze per continuare a vivere". Quindi sono sua madre, suo padre, Cristinita, il Pollo, Memo e molti altri ancora a perdersi, lasciando chi sopravvive ogni volta un po' più privo di risorse, di relazioni, di radicamento nel mondo. È un lavoro concepito non tanto come un libro intervallato dai tradizionali capitoli, quanto piuttosto come un'opera cantata, un lungo disco scandito dai versi delle canzoni della terra dell'autore. Molti dedicati alla vita, molti all'amore, molti alla morte. "Il fatto che la nostra tradizione culturale sia soltanto orale ‒ ha affermato -lvarez al festival "Le corde dell'anima" di Cremona, dove il suo libro è stato presentato ‒ fa sì che la nostra memoria sia profondamente radicata nella musica. La musica è l'unico spazio dove il mio popolo, per tradizione, ha costruito la propria identità, quello a cui ha consegnato la propria memoria". Se il libro racconta vicende che si sviluppano in un periodo di tempo relativamente lungo, lunghissima è stata la sua gestazione: dieci anni in tutto, spesi in un lavoro di documentazione meticoloso, trascorso "ad ascoltare le persone, a raccogliere i loro problemi, a viaggiare per il paese, a immedesimarmi nella vita degli altri. In questo senso, ho cercato di avvicinarmi il più possibile alla realtà, per rendere il mio romanzo il più possibile vitale. Per il mio romanzo precedente, ad esempio, ho vissuto insieme alle prostitute, ne ho ascoltato le chiacchiere, e le loro parole si sono tradotte in un romanzo [La lectora, 2001]". Uno degli aspetti più interessanti è l'aver scelto un tema così pervasivo come la morte letto però anche attraverso l'ironia. "È la storia stessa della Colombia che, a partire dalla mattanza degli indigeni è incentrata sulla morte. Prima la conquista, poi la religione. In Colombia la costruzione dello stato avviene attraverso la morte: la nostra storia è quella di simili che ammazzano i propri simili, è un qualcosa che è rimasto nelle nostre vene. Però, è proprio nel momento in cui sei intossicato da una realtà così orribile che ti costringi a uscirne ridendone, quasi a prenderti gioco della morte. L'ironia è il mio antidoto, la mia e la nostra chiave di lettura, una reazione normale di fronte a un evento quotidiano, a qualcosa che è parte integrante del sistema e che è presente ovunque, a ogni angolo di strada. Al tempo stesso, il senso di precarietà (quello che ti porta a chiederti, ogni giorno, se farai ritorno a casa) è tanto presente che per reazione siamo portati a vivere intensamente ogni passione, ogni amore, in un continuo cogliere l'attimo. Vivere con profondità è una sorta di distrazione". Questo di -lvarez è un testo a tratti difficile, impegnativo, non tanto per il linguaggio, che è vivo, denso, popolare, calato nella vita di strada, quanto per una trama che non segue un percorso lineare, ma abbozza i personaggi, li abbandona per poi ritrovarli, e nel frattempo di alcuni è possibile essersene già dimenticati. Un libro la cui lettura è più che consigliata, per la sua capacità di stabilire nessi che non sono affatto scontati. E soprattutto perché è un lavoro coraggioso, che si pone l'ambizione di portare il lettore a comprendere. Silvia Ceriani
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