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L'autobiografia di merda di Killofer
Patrice Killofer, gigante del fumento francese, arriva in Italia con il suo capolavoro: la storia di un uomo alla deriva
Non ho la coscienza a posto”, confessa Patrice Killofer in apertura di questo libro, la cui copertina lo mostra mentre prende a pugni se stesso. Il fumettista francese, uno dei fondatori de L’Association, tra le più prestigiose case editrici d’oltralpe nel settore, è finalmente arrivato in Italia con il suo capolavoro: 676 apparizioni di Killofer, ovvero il disfacimento di un uomo, l’autore, costretto lontano da Parigi per qualche giorno e in preda alle sue pulsioni e ossessioni. Solo la prima parte dell’opera contiene parole – non fumetti, ma didascalie libere, la cui riscrittura in italiano è stata curata dal fumettista in persona –, e lascia presto spazio alla discesa a spirale del protagonista.
Tra perversioni, alcolismo e la mancanza totale di freni e di una direzione, Killofer va presto alla deriva: lo vediamo sdoppiarsi, e ogni sua personalità diventa un doppelgänger che presto cerca di uccidere (o scopare) gli altri. Sono pagine crude e bellissime, in cui un piccolo esercito di Killofer lotta per la sopravvivenza o concede favori sessuali ai suoi simili. C’è sesso, vomito, sangue e merda; quest’ultima, in particolare, è una passione per il nostro, secondo cui “la prima cosa che gli uomini producono è la merda”, e quindi “l’autobiografia è un po’ come dire: Guarda come è bella la mia merda”. L’opera – nonostante il delirante sdoppiamento del suo protagonista – è di un realismo crudissimo, ispirato allo stato d’animo dell’autore nel 2002, un periodo buio nel quale fu costretto a recarsi in Canada, lasciando “i piatti sporchi a Parigi”.
L’iperbole grottesca diventa il modo per parlare di sé, visto che “non mi piace il genere autobiografico”. Killofer ci mette il disagio che provava all’epoca – la delusione d’amore –, dando vita a una confessione dolorosa e indimenticabile. Il grande formato (25 x 37 cm) rende giustizia a una storia che sembra infinita. Proprio come il suo autore moltiplicato.
Recensione di Pietro Minto
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