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Non ho per le mani la traduzione (senz'altro non banale) in Italiano, ma l'originale Inglese rivela un Burgess al massimo della forma e all'ennesima potenza. Probabilmente gran parte del mio interesse per il romanzetto nasce dall'amore per Belli e per i commenti di Vigolo e Gibellini. Burgess è maestro nel fondere narrativa, storia e didascalia, e questo è forse il suo prodotto più sorridente. Un solo rimpianto: finisce troppo presto. Otto meno.
Il romanzo breve (o racconto lungo, difficile decidere) narra di un eventuale incontro, che potrebbe essere avvenuto a Roma intorno al 1820, tra il grande poeta inglese John Keats e l'altrettanto grande poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli. L'Inglese sviluppa un'ammirazione per il Belli, che ci è descritto nel suo destreggiarsi tra la burocrazia papalina, dove dimostrava (doveva?) un'idea politica reazionaria, e l'aspra satira, anche sui vertici Vaticani, della sua poesia. Imperdibili i dissacranti giochi di parole sul "dumpenneba".
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