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Un libro discontinuo,questo di Luca Lezziero, per i tipi di "La vita felice".Composto da una cinquantina di poesie,che in genere si aprono con squarci lirici potenti,immagini vivide,versi che si impongono con una loro robusta significanza("Lentamente e per tutta la notte/Le scritte al neon disegnano i sogni";"L'abbandono si consuma in ogni istante";"Respirano in silenzio/tutte le ipotesi del mondo";"ecco che il prato,/l'inaspettato prato..").Che talvolta riescono a stagliare severamente la figura di una metropoli crudele("Milano,/le persone imparano a riconoscersi dai contorni";"Una strada che è un filare di ringhiere/e l'orizzonte il polpaccio di chi sta davanti")o di una madre che non si riesce a perdonare:"Non sei più mia madre/né mia figlia né un'amica./Sei un mare di promesse non mantenute".E poi invece diluiscono la tensione poetica in soluzioni più scontate o retoriche,in chiuse affermative o gnomiche che hanno quasi la pretesa di verità filosofiche:"Siamo il torbido","E salvano il mondo senza saperlo","Là diventiamo grandi": cedendo a una volontà di razionalità e di spiegazione che dimentica che la poesia deve essere anche concentrazione di significato, allusione,suggerimento,mistero.Ma quello che davvero infastidisce il lettore è che questa prova poetica,dignitosa nelle proposte,risulta inficiata da un'improvvisazione grafica,grammaticale,formale che non si sa se attribuire alla disinvoltura dell'autore o a un pressapochismo dell'editore."Un alba" va scritto con l'apostrofo,"da" -voce del verbo dare- vuole l'accento!La punteggiatura va presa sul serio,e qui mancano i punti a fine verso,le virgole sono usate assolutamente a sproposito, le lettere dei capoversi sono( a casaccio)a volte maiuscole a volte minuscole. Perché?La poesia è anche un esercizio rigoroso,e come tale esige attenzione in chi la scrive e in chi la legge:qui non esiste nemmeno la giustificazione di un attardato sperimentalismo,evidentemente molto lontano dalle intenzioni del poeta.
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