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Un piccolo, grande libro che si staglia, per chiarezza e onestà, nel panorama oscuro e confuso dell'informazione su questo tema delicato eppure oggi così spesso dissimulato. Dalla considerazione dell'Antilingua (termine di Calvino) che ha portato a trasformare la terminologia laddove da tempo il mainstream ha seppelito la cultura: interruzione volontaria di gravidanza, non è forse un modo ipocrita per definire un assassinio, la soppressione volontaria della vita di un essere umano? Già, perché di essere umano si tratta, c'è poco da fare. Sfido chiunque a sostenere che non si tratti di un'esistenza in fieri - nè più e nè meno come quella di ciascuno di noi - e che non sia umana. Il re è nudo, dice l'autore, a fronte di una società che si volta dall'altra parte e cerca di non voler assistere, pur facendolo, a questo sterminio di massa della società opulenta e finalmente sazia della conquistata libertà di uccidere. Volontariamente e anche arbitrariamente. Ci hanno abituati prima ad accettare l'idea dell'aborto terapeutico, poi a quella dell'aborto per motivi psicologici, fino a quando abbiamo espulso la parola aborto dalla lingua e così, seguendo la nota finestra di Overton, finalmente siamo giunti a parlare di una conquista della volontà - pro choice - della donna e della civiltà. L'autore afferma che non c'è bisogno di scomodare la fede per arrivare a respingere la piaga dell'aborto e con un'esplosivo incipit elenca esempi di laici famosi che hanno preso le distanze dall'aborto: Bobbio, Ginzburg, Pardi, Pasolini. Posso dire, per conoscenza diretta dell'autore, che non si tratta di una verità solo proclamata, ma vissuta in pieno, a giudicare dall'esistenza piena e gioiosa del suo figlio primogenito che, a detta dei medici, sarebbe stato meglio abortire per non arrischiare la vita della madre, anch'ella paladina della vita e peraltro anch'ella in perfetta salute. Un giorno la scienza arriverà a decretare in modo inoppugnabile la barbarie alla quale stiamo assistendo.
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