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E’ un libro al contempo spumeggiante e variegato, ma anche molto triste. Il Piccole Berto, che ha perso entrambi i genitori nella lotta partigiana di liberazione contro il nazismo, vive con i nonni, soprattutto con il nonno Abramo, lattoniere tuttofare, in grado di ricostruire i tetti di sinagoghe, ma anche di chiese ortodosse e cristiane, in armonia con le tre religioni monoteiste imperanti nella Plovdiv (Bulgaria) della prima metà del novecento. Abramo, in realtà, è maestro bevitore e lo si trova in tutte le bettole della città, dove sciorina racconti fantastici, che lo vedono protagonista sia della calata di Annibale dalle Alpi che di un sacco di altre imprese storiche memorabili. Per quanto le spari grosse, tutti i frequentatori delle osterie le prendono per oro colato, compreso il nipote Berto che cresce ed è educato proprio dal nonno che non lesina sagge massime di vita. Ci sono risvolti esilaranti, come quando i tre preti delle tre comunità religiose, tallonati da Abramo, si trovano nel salotto della bellissima vedova Sulfi, con cui sperano di aver a turno un incontro amoroso. Dovranno accontentarsi invece di sgranocchiare mandorle amare, scolarsi un’intera bottiglia di mastika, il forte liquore locale, e ballare in tondo, con la Sulfi al centro, la danza del ventre. E ci sono risvolti molto tristi, come la cacciata degli zingari, che vivevano in linde casette arrampicate sulla collina e in discesa fino alle sponde del fiume. L’ordine è perentorio, verranno deportati in massa presso il lontano comune di Vidin. Poco dopo si ha l’esodo dell’intera comunità turca, oltraggiata dal sequestro, da parte del partito comunista , del loro cimitero, che viene riassegnato a campo arato. Il libro allaccia i ricordo di Berto, ragazzino, e di Araxi, una dolce bimba armena di cui si è innamorato. S’incontrano 40 anni dopo, e si raccontano le loro peripezie. Sullo sfondo, gli errori e lo squallore del nuovo partito comunista stalinista da poco al potere.
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