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Uscito nel lontano 1964 per la benemerita casa editrice bolognese Pàtron e giunto nel 2010 alla quinta edizione riveduta e aggiornata, "L'accento latino" è uno di quei classici che ogni antichista dovrebbe aver letto almeno una volta nella vita, specie se insegna latino. Tuttavia, come si sa, i classici sono quei libri che si citano senza averli mai letti per davvero, al prezzo di un po' di senso di colpa latente. Fattosi quest'ultimo più insistente negli ultimi tempi, ho ceduto di fronte all'ennesima occhiata di rimprovero che il volume mi ha lanciato dalla mia libreria e ho fatto il mio dovere, espiando il mio peccato sulle sudate carte pagando pegno alle temperature tropicali di questi giorni. Le quattro sezioni dell'opera (in tutto circa 150 pagine) sono dedicate rispettivamente a "Accento melodico e accento intensivo", "Fonemi e sillabe, durata e quantità", "Le leggi dell'accento latino" e "Errori di accentazione" e ognuna di loro contiene molteplici spunti di interesse per chi, come me, ama guardare il latino (e, più in generale, le lingue) da una prospettiva diacronica. Letteralmente illuminanti alcune pagine delle prime tre sezioni, ad esempio quelle dedicate alla "vexata quaestio" della natura dell'accento latino (melodico o intensivo?) o ai concetti di quantità (vocalica e sillabica) o al problema dell'accento di ènclisi; molto utili anche le considerazioni sulle tipologie più frequenti di errori di accentazione presenti nella quarta sezione. Cari amici latinisti e antichisti, io il mio dovere l'ho fatto: ora, nel caso, tocca a voi. "Ma se tutti i fonemi hanno una durata, non tutti hanno una quantità, perché i due termini non sono equivalenti. La durata è un fatto obiettivo; essa esiste anche quando l'orecchio non la percepisce. La quantità è la durata che l'orecchio percepisce e la coscienza valuta. (...) La quantità è una durata relativa." (p. 24)
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