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Questo libro è molto divisivo: i detrattori rilevano la presenza di cliché, gli idolatori la realistica rappresentazione di uno spaccato di periferia. La giusta dimensione sta nel mezzo. La scrittrice ha indubbie capacità narratorie, ma difatti si perde in situazioni stereotipate e nel finale abbozzato e poco incisivo. La storia di amore tra le due protagoniste è piacevole, i cliché non troppo disturbanti, il racconto non sempre entusiasmante. Libro sufficiente.
Primo mio libro di questa scrittrice. Ho apprezzato l' argomento, la capacità espressiva, l' estrema crudezza narrativa. A tratti lettura faticosa per trama sconclusionata. Consiglio per conoscere i paesaggi toscani, ben tratteggiati.
Questo libro mi ha catturato fin dalle prime pagine, lasciandomi incapace di staccarmi. Ogni capitolo è stato un pugno nello stomaco, ma ho apprezzato profondamente l'amarezza descritta, priva di filtri e giudizi. La storia si svolge in un contesto difficile: Piombino, con la fabbrica Lucchini, le case popolari, bambini che giocano accanto agli spacciatori e tredicenni che si prostituiscono. È un ritratto di un'Italia diversa, dove la morte sul lavoro è all'ordine del giorno. La scrittura dell'autrice mi ha affascinato, riuscendo a farmi vivere le sensazioni dei personaggi. Non c'è traccia di buonismo o moralismo, solo la cruda realtà di via Stalingrado, dove i sogni sembrano irrangiungibili.
Recensioni
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Da quando Silvia Avallone è stata candidata allo Strega, dove è poi giunta seconda, del libro si è parlato e scritto molto. In estrema sintesi, le protagoniste di Acciaio sono Anna e Francesca, due bellissime tredicenni legate da un rapporto esclusivo e torbido che si spezza quando una delle due, compiuti i fatidici quattordici anni, si "fidanza" con un amico del fratello. L'amica, che pur odia gli uomini, per una sorta di vendetta va a lavorare come ballerina di lap dance in un sordido locale. Il finale è aperto ma abbastanza happy.
Elementi interessanti la felice ambientazione a Piombino (curiosa, ma indicativa, la quasi assoluta assenza di coloriture vernacolari; e questo nelle terre del "Vernacoliere"), nelle case popolari "quattro casermoni da cui piovono pezzi di balcone e di amianto" che incombono su una spiaggia di città squallidamente paradisiaca (proprio di fronte c'è la socialmente irraggiungibile Elba), o la minuziosa descrizione dell'acciaieria in cui lavora, e poi muore per un assurdo incidente, Alessio, il fratello di Anna. Proprio l'acciaieria, dominata dal totem dell'altoforno Afo 4, è descritta con una cura che è evidente frutto di un'ammirevole e appassionata ricerca anche lessicale: la siviera, la cokeria, il laminatoio, il misterioso tundish, e poi le vergelle, i blumi, le billette. Stessa cura la ritroviamo anche nelle descrizioni delle location secondarie: i dehors dei bar, il pattinodromo, il "Gilda" (il sordido locale di cui già si è detto).
E anche l'ambientazione "umana" è molto interessante: le famiglie di Anna e Francesca hanno forti caratterizzazioni (il padre dell'una è un farabutto velleitario che traffica in soldi falsi e opere d'arte, quello dell'altra è violento e incestuosamente geloso della bellissima figlia; le madri, l'una è politicamente impegnata e l'altra depressa), che non cadono mai nella macchietta. Particolarmente degno di nota è il mondo dei giovani operai, con massimi e simbolici esponenti Alessio, il fratello di Anna, e il suo amico Mattia (quello che con Anna si "fidanza"). Lavorano sul carroponte con la radio a palla e pieni di amfetamine; tirano mattina in discoteca fatti di coca (che anche commerciano); guidano (e scopano) "a troncamacchia"; si allenano al kick boxing in palestra; aspirano a qualcosa di più (macchina più veloce, vita più spericolata); disprezzano i "banfoni comunisti" che considerano dei "bavosi sfigati". E soprattutto sono belli e fascinosi. Mattia, per esempio, è "bello come Brad Pitt in Thelma e Louise".
Azzardiamo adesso un curioso confronto con un altro romanzo di un'altra esordiente, La vacanza di Dacia Maraini, uscito nel 1962 (quando l'autrice aveva ventisei anni, la stessa età di Avallone). Qui l'ambientazione è sulla costa laziale (memorabili i bagni Savoia) nell'estate del '43 segnata dai bombardamenti su Roma. Il personaggio principale è Anna, una bambina di undici anni che si presta con docile apatia, venata di noia e curiosità, ai desideri dei maschi: a quelli di Armando, diciottenne onanista compulsivo figlio del socio del padre, a quelli di un vecchio signore conosciuto ai bagni, a quelli di Gigio, un giovane omosessuale che in lei cerca il suo essere non-ancora-donna. Tutti decisamente brutti. Il primo aveva le labbra "appena velate di peluria"; al secondo "due borse grigie palpitavano sotto gli occhi ad ogni parola"; il terzo aveva gli occhi leggermente storti, prima descritti come "color olio", poi del colore della "scorza di limone secco". Anche qui quindi una vicenda che ruota attorno alla scoperta del sesso in protagoniste adolescenti o pre. Ma nei quasi cinquant'anni anni che separano i due romanzi quanto è cambiato nella percezione (anzi nella rappresentazione) del mondo maschile.
Tornando ad Acciaio, un'ultima nota dedicata alla copertina. Orribile. Non tanto per l'immagine (la foto di una ragazza un po' smorta su uno sfondo industriale, che almeno tenta, seppure con un eccesso di banale didascalismo, di alludere al contenuto del romanzo), quanto per la rigidezza da rigor mortis del cartonato, per il lugubre dorso telato illeggiadrito da un lettering che non sfigurerebbe su un loculo. Nulla di meno adatto al libro di una giovane esordiente.
Luca Terzolo
Premio Campiello Opera Prima 2010.
Di qua dal mare c'è via Stalingrado, una muraglia di case popolari modello Unione Sovietica, che l'amministrazione comunale comunista ha assegnato agli operai siderurgici che lavorano alla Lucchini. Di là dal mare invece c'è l'isola d'Elba, Ilva, un paradiso sognato e irraggiungibile popolato da ricche signore lombarde in vacanza. In mezzo, proprio in riva al mare, ci sono Anna e Francesca. Lascive, la bionda e la mora di "tredici anni quasi quattordici", vivono la loro ultima estate di innocenza prima del liceo. A giudicare da come giocano tra le onde, da come si muovono davanti allo specchio imitando le soubrette della TV… a giudicare solo dall'aspetto, come fanno in molti, si direbbero capaci di arrivare molto lontane, quelle due ragazzine. Ma in una periferia operaia come quella di Piombino, schiacciata sotto la coltre di fumo dell'altoforno, non si può prevedere il futuro di una persona in base all'aspetto o alle ambizioni. Per conoscere la storia di Anna e Francesca non basta guardare le loro forme giovani e perfette e il loro sguardo arrogante, bisogna conoscere la storia delle loro famiglie, dei fratelli, fidanzati, amici e poi naturalmente della Lucchini.
Ad esempio Sandra e Arturo, i genitori di Anna: lei è una femminista e un'attivista di Rifondazione e nonostante la stanchezza e il tedio di tutto il quartiere continua con la distribuzione del giornale. Lui naturalmente lavora all'acciaieria, ma ancora per poco, perché in realtà Arturo è un uomo fantasioso, un artista che vorrebbe spendere il suo tempo altrove, fare la bella vita, lanciarsi nel business, sparire, poi tornare e magari sparire di nuovo…
I genitori di Francesca invece, purtroppo, non vanno più da nessuna parte. Sua madre, casalinga di origini calabresi, passa il tempo a soddisfare le assurde richieste di un marito insoddisfatto e violento. Lei, Rosa, dimostra venti anni in più della sua età e piange in silenzio tutte le sere, sia quando i colpi sono per lei, sia quando il rumore delle botte arriva dalla stanza di Francesca.
Vista da dentro, dopo aver ascoltato le urla che attraversano le porte, dopo aver guardato da vicino gli angoli dei cortili e sentito gli odori delle strade, via Stalingrado non è solo il quartiere degli operai. È anche un posto in cui il futuro dura un attimo, giusto il tempo perché un nuovo colpo inatteso ti venga sferrato contro.
Alessio, Cristiano, Mattia, Anna, Francesca, Lisa e le altre ragazze, tutti i protagonisti di questa storia sono immobili e distanti, sopraffatti dalla violenza del ciclo continuo della produzione, eppure capaci di amarsi intensamente. Sono ragazzi capaci di tutto e di niente: di fuggire di notte per fare l'amore dietro una barca e di rimanere indifferenti quando la più grande struttura in acciaio al mondo, le torri gemelle, si sgretolano sotto i loro occhi in diretta televisiva. Una storia crudele e tenera in cui tutto è assurdamente vero. È vero che a quindici anni puoi lasciare la scuola per andare a fare la vita, che la polizia può entrare in casa tua e buttare per aria tutto perché cerca una prova di colpevolezza, è assurdamente vero che di lavoro si vive ma si muore anche, che il salario a volte non basta neanche per la cocaina, che un padre può darti la vita e può anche togliertela, che un bacio è sempre un bacio, anche se chi te lo dà è la tua migliore amica.
Un romanzo d'esordio che parla di un'adolescenza mai vissuta, vinta, arresa, fusa come l'acciaio a 1538 gradi. Che parla dell'età dell'entropia e del caos, quando i legami, anche quelli più forti, si spezzano e nell'aria, a ricoprire l'Elba, resta solo una densa nube rossastra.
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