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Anno edizione: 2017
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Lispector, ricordo di un'esperienza subacquea, senza possibilità di respirare. Si tratta certamente di un buon libro, ma forse non è l'ideale per avvicinarsi a questa scrittrice così particolare. Forse, ancora meglio, anzi, certamente meglio, è "Vicino al cuore selvaggio". Si apre un libro di Clarice e subito ci si rende conto che la lettura sarà una grande immersione in apnea, dopo la quale risaliremo in superficie con occhi forse più salmastri, ma certamente più lucidi.
Il suo capolavoro, non per tutti, ma indimenticabile per molti. Lispector non facilita il lettore, ma è sempre imprevedibile, unica.
Folle ma noioso, meglio Cioran
Recensioni
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Clarice Lispector, brasiliana di origini ucraine, osannata in ogni stato dell’America Latina, è poco conosciuta in Europa. Una “disattenzione” che non si spiega data l’altissima qualità della produzione letteraria di questa scrittrice e l’innovazione assoluta che l’autrice apporta alla corrente del modernismo. È perché le sue opere sono scritte in portoghese? Come chiariva molto bene Susan Sontag nel saggio Tradurre letteratura, nel quale celebrava le opere del grande scrittore brasiliano Machado de Assis, ci sono testi di cui non si parla, nemmeno quando di valore: «forse perché certe lingue occupano intere sezione dei piani alti […] mentre le altre lingue e i loro prodotti letterari sono relegati ai piani inferiori, con i sof?tti bassi e la visuale ostruita».
Acqua viva (95 pagine, 14 euro), pubblicato nel 1973 e tradotto in Italia da Roberto Francavilla per la casa editrice Adelphi, è un testo nel quale la scrittura e il linguaggio di Clarice Lispector si radicalizzano. Qui ritroviamo alcuni dei temi ricorrenti negli scritti dell’autrice: il contrasto tra l’individuo e l’essenza primordiale della vita, la ricerca e la contemplazione dell’istante, l’inquietudine come stato permanente di ricerca e la consapevolezza dell’esistenza di una verità altra ineffabile, nascosta nella natura, il confronto con la morte e la natura selvaggia. Una pittrice assume il ruolo di voce narrante di un testo frammentato, dove non ci sono trame né personaggi bensì un’improvvisata sequenza di pensieri dirompenti e incontenibili, un caleidoscopio di immagini e sensazioni, di parole e immagini, di ricordi e speranze tenuti insieme da un “fragile ?usso conduttore”: il mutare rapido dell’esistenza e la volontà di inseguire l’“istante-adesso”, per viverlo e abbandonarsi al ?usso dell’esistenza.
La struttura di questo libro, di questo non-romanzo richiama il desiderio del ?uire dell’istante: la scrittura crea infatti l’illusione che il discorso sorga insieme ai pensieri e che la parola scritta sia l’immediata oggettivazione di un pensiero. «Per parlare dell’istante di visione devo essere più discorsiva dell’istante». È interessante il gioco che l’autrice instaura tra la voce narrante, una pittrice che decide di “prepararsi” alla pittura attraverso l’arte della parola, e un interlocutore di cui non si aggiunge nulla oltre al dato della mera esistenza di un “tu” a cui quella voce si rivolge. Clarice Lispector gioca con il lettore e lo invita ad entrare in questo scambio unilaterale di battute: se in un primo momento questa presenza sembra appartenere al mondo reale della narratrice, una persona con la quale la voce ha iniziato una relazione poi ?nita male, a poco a poco il lettore percepisce che il “tu” al quale questo ef?uvio sfrenato è rivolto è lui stesso. È il lettore ad essere chiamato in causa ed è invitato a partecipare all’esperienza quasi divina di uno stato di grazia, e a lui si chiede volontà di comprensione. («Fai attenzione ed è un favore: ti sto invitando a trasferirti in un nuovo regno»).
Acqua viva è un libro che rappresenta lo sforzo straordinario di esprimere l’indicibile violando le regole formali del linguaggio, attraverso una lingua che non cerca di rappresentare fedelmente la realtà perché la realtà vera sfugge ai più e chi la vive non riesce a riferirla. Perché il mondo è obliquo e la vita vera si intravede in questo tratto storto che lascia presentire “ciò che intuiamo di in?nitamente altro in questa vita”, quella vera. Ma la verità erode il soggetto, lo consuma a tal punto che ciò che rimane è qualcosa di astratto e senza personalità, un “it” impersonale. Il linguaggio qui diventa libertà assoluta di pensiero, ?uire di parole che mutano in costante divenire. Acqua viva è una lettura non solo per chi già conosce lo stile di Clarice Lispector e ne ha sentito la mancanza, ma anche per chi vuole avvicinarsi per la prima volta a questa straordinaria scrittrice e immergersi nel mondo ancora troppo poco conosciuto della letteratura di lingua portoghese. Il segreto, come sanno bene i fedelissimi lettori della Lispector, è tutto nella rilettura.
«Il meglio non è ancora stato scritto. Il meglio si trova tra le righe».
Recensione di Silvia Gasparoni
«Era solo. Era abbandonato, felice, vicino al cuore selvaggio della vita». Con questa citazione in esergo di James Joyce cominciava Vicino al cuore selvaggio, il primo romanzo di Clarice Lispector, che, pur nell’eco di una scrittura così carica di dissolvenze da far pensare a certe pagine di Virginia Wolf, aveva già una sua dolorosa e lucida autonomia.
La storia della giovane Joana, che coniugava una primitiva sensualità al senso sfinente dell’ineluttabilità della morte (e non a caso lì la storia ruotava intorno all’inutilità del gioco di ruolo della maternità), racchiudeva in sé l’intera parabola letteraria della Lispector, un luogo dove la parola è, prima di ogni cosa, lo strumento per l’impressione, in un disegno meno incerto, delle epifanie della vita, nel tentativo, cosciente e vano, di riscattare il vuoto, nella straziante certezza che il segreto del nostro cuore è solo la bozza di un progetto del caos.
È per resistere all’ineluttabilità del destino che la lingua della Lispector ha costruito, pagina dopo pagina, una letteratura fluttuante come aria e acqua, non finita, aperta, circolare, in cui il senso della fine, intrinseco nella tirannia dello storytelling, viene sfidato dalla forma astratta del racconto. Ed è precisamente questo dell’astrazione il tema dominante di Acqua viva (Água viva, 1973, da poco nella nuova traduzione di Roberto Francavilla per Adelphi), ultimo romanzo e summa dell’esperienza artistica della scrittrice brasiliana, che se volessimo provare insensatamente a riassumere ruota intorno a una sorta di monologo-confessione di una voce, quella di una pittrice, che si rivolge a un amore finito (e per questo assoluto ed eterno), nel tentativo di restituire con la parola (unica vera maternità) le emozioni della pittura.
Lo spunto, fuori dell’esercizio di una retorica sinestesia, determina il tentativo di raccontare il caos e la vita nel caos, con lo sguardo di un dio vinto e, stanco, che, pur nell’ingenuo ricorso di un ente principiale – l’it – scopre in ogni cosmogonia solo l’agonia del dolore del suo limite. Come nel Terrence Malick genesico di Tree Of Life, o nello strazio dell’increato dell’enorme Antonio Moresco, Acqua viva è il canto dell’impossibile voce che erge afona il suo stupore «di fronte allo scandalo della morte», cui Lispector, nella gelida bellezza della sua parola scavata nel liquido amniotico della disperazione, contrappone l’azzardo del mistero dell’invenzione della verità e la bellezza dell’amore.
“Água viva” in portoghese significa anche medusa, l’organismo trasparente che vive nella mimesi della trasparenza suprema del mare, ma, lontano dal cuore selvaggio dei nostri desideri, nulla c’è di più illusorio che la falsa trasparenza medusea dell’urticante disperazione della gioia più grande e dolorosa, che pur sembra limpida ed esperibile, quella dell’amore, che per non morire, muore.
Recensione di Corrado Morra
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