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Cara Vera, te ne sarai accorta anche tu, certamente. Ci sono libri che contengono nelle frasi l’allegra luce del mattino oppure l’inquietante velo nero delle tenebre. Frasi che sanno di umida foschia o di sabbia arroventata. E questo senza mai nominare il sole, la notte, la nebbia, il caldo. Eppure è così. Può un villaggio africano, in pieno giorno, essere nella sua silenziosa immobilità più nero delle sue ombre ? Gachimat lo è. La comunità di quel borgo poco distante da Algeri è immobile come l’aria. E’ un orologio senza tempo quello dei vecchi che giocano a domino nel locale pubblico. E agli asini non servono urla di incitamento. A Gachimat si scatenano i lupi. Sono agli ordini di un profeta di sventura che in nome del suo dio impone agli abitanti del villaggio le sue regole. Fanatismo religioso, chiusura a ogni altra cultura, avversione all’emancipazione femminile sono gli ingredienti di una sequenza tristemente nota: imposizione di regole assolute, sequestri, uccisioni. “ Lungo i brulli fianchi della collina, la sera snida gli ultimi sprazzi di luce e inizia a braccarli verso la cima della montagna “. Il regno del terrore è iniziato a Gachimat, costellato di atrocità. “La primavera non meraviglierà né le bestie né gli uomini. I papaveri ricorderanno tumefazioni scorticate. L’ala sinistra del cimitero presto raggiungerà le mura di fronte. Ogni giorno, un corteo andrà a consegnare il caro defunto a una terra tramutatasi in carnaio“. I pigri abitanti del borgo algerino si abituano troppo presto alla ventata d’odio prima di accorgersi dell’inganno e di provare terrore. Nella bella prosa di Mohamed Moulessehoul, in arte Yasmina Kadra, ex ufficiale dell’esercito algerino, l’affermarsi dell’integralismo religioso con il suo carico di lutto è come il giorno che si congeda sempre “come un cantastorie non più apprezzato”. Claudio Mori, sito web panchinedimilano
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