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È ovvio che nessuno ha mai parlato come Fenoglio e Rosselli scrivono. Ad un mondo modificato e ferito, moderno, corrisponde di necessità una lingua scritta non parlabile e mai parlata: soprattutto, né viva (non è mai stata la lingua di una comunità) né morta (non ha un passato pratico rispetto al quale scomparire, essendo soppiantata da un nuovo volgare). Eppure Fenoglio si riferisce veramente a luoghi condivisi da una comunità, e Fiammetta Cirilli li studia; quindi Milton dice che Alba è "casa" (cit. a p. 129, e Cirilli spiega bene che la malinconia di Fenoglio "affonda le sue radici nella stessa attitudine a identificare l’universo domestico con quello cittadino") Ma questi luoghi non fanno di Fenoglio uno scrittore di pura piemontesità o "di ispirazione contadina e provinciale" (p. 36); e non rappresentano un paradiso privato, soprattutto per come appaiono nel dopoguerra. Il diverso atteggiamento delle donne – che "ci mettono al mondo", e sono la terra e la morte insieme, secondo Pavese, come divinità precristiane – è il simbolo di uno strappo definitivo (antropologico, sessuale, territoriale), uguale a quello che comporta il rimpianto delle lucciole o dei capelli corti in Pasolini: le ragazze di campagne vanno "a ballare truccate e vestite come cittadine", e rifiutano gli inviti degli uomini, scegliendoli. L’animalità subisce una mediazione: non per il piacere della castità, che eleva, ma per un calcolo pratico. C’è, intorno, il boom in grande stile della "fabbrica della cioccolata"; chiude la macelleria dei Fenoglio, che traslocano dalla piazza al corso. Intorno, un "massiccio incremento demografico" (p. 39). Cirilli scrive, giustamente, che "le descrizioni dei luoghi, anche quelle apparentemente più minuziose" sono "in realtà il frutto di un sapiente montaggio di elementi filtrati e riadattati da un narratore poco preoccupato di una resa realistica" (p. 40). In pratica, chi scrive non agisce direttamente in un luogo, ma in spazi che lo isolano dal luogo, e gliene forniscono un panorama e la quintessenza
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