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Albrecht Dürer teorico dell'architettura. Una storia italiana
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Descrizione


Oggetto dello studio è il trattato di architettura militare di Albrecht Dürer (Norimberga, 1527). Se ne è data la prima versione italiana con a fronte la trascrizione del testo originale condotta su un esemplare della editio princeps. Un lungo saggio delinea l’attività di teorico dell’architettura di Dürer, fino ad ora scarsamente indagata dagli studiosi, e la natura del legame che, pure in questa particolare disciplina, lo univa all’arte dei maestri italiani del Rinascimento.

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Dettagli

1999
1 agosto 1999
226 p., ill.
9788822247650

Voce della critica


recensioni di de Seta, C. L'Indice del 2000, n. 03

Sui rapporti di Albrecht Dürer con l'Italia sono corsi fiumi di inchiostro, ma certamente appannato è rimasto il rapporto che il pittore ebbe con la trattatistica a lui contemporanea che si occupa della città e della sua difesa con l'irrompere, sulla scena della storia, delle armi da fuoco. A questi temi Dürer dedicò un trattato, Alcune istruzioni sulla difesa della città, delle fortezze e dei borghi, edito a Norimberga nel 1527 con uno splendido corredo di 21 xilografie inframmezzate al testo: ora disponibile, in prima traduzione italiana, a cura di Giovanni Maria Fara, che lo fa precedere da un corposo e analitico saggio.
Il trattato è dedicato al principe Ferdinando, fratello di Carlo V, e la sua pubblicazione fu accelerata probabilmente dalla sconfitta subita dall'esercito imperiale da parte di Solimano il Magnifico: ma gli interessi architettonici e trattatistici di Dürer sono ben precedenti e investono tutti gli aspetti del sapere di un artista che ambiva a confrontarsi con i maestri della tradizione italiana, che avevano, ai suoi occhi, un primato incontrastato. I suoi interessi per la geometria e le proporzioni umane risalgono alla giovinezza e al suo primo soggiorno italiano del 1494-95: in una memoria autobiografica ricorda con riconoscenza gli incontri a Venezia con Jacopo de' Barbari, autore della monumentale veduta prospettica della città lagunare a cui è dedicata in questi mesi una splendida mostra al Museo Correr.
Già al primo decennio del Cinquecento risale un suo progetto enciclopedico - sul modello dell'umanesimo italiano - in cui comporre in unico corpus elementi di geometria euclidea, prospettiva, proporzioni e architettura. Nel corso della sua discesa in Italia sono evidenti la passione che nutre per il paesaggio e le fortificazioni: caso eminente la veduta del Castello e della città di Arco. Un acquerello nel quale l'analitica descrizione paesistica è fusa con l'attenzione topografica alle opere fortificate e all'architettura.
Nel secondo soggiorno italiano del 1505-7 tra Venezia, Bologna e Ferrara - dove è in atto la costruzione di una nuova cinta fortificata e fervono i cantieri dell'addizione erculea di Biagio Rossetti -, raccoglie ulteriori elementi per stendere un trattato teorico sull'arte della guerra, sull'architettura fortificata e sulle artiglierie. La sua opera grafica è disseminata di prove che testimoniano questa passione: evidente nel disegno a penna dell'Assedio di Hohenasperg (1519) - evento di cui fu spettatore - con il campo degli assedianti e la batteria dei cannoni in primo piano, e nel Grande cannone (1521), inciso dopo il viaggio in Olanda, fino alla grande xilografia in due fogli che illustra l'assedio di una città difesa secondo le teorie esposte nel trattato. È questa la sua ultima opera grafica, monogrammata e datata 1527, in cui figurano il grande torrione rotondo e le casamatte isolate nell'ampio fossato. Sono questi i dispositivi essenziali alla difesa della città contro l'esercito assediante disposto a testuggine che avanza in una formazione a linee parallele con le artiglierie, le diverse specie di armati e le vettovaglie. In questa xilografia la città, serrata tra le mura con torri e campanili emergenti, compare all'estrema sinistra del primo foglio, protetta da un grande torrione che sembra destinato ad aver ragione di quel formicolio che avanza senza poterne intaccare la possanza: lo stesso enorme fossato appare invalicabile. Lo Stradano a Palazzo Vecchio tradusse in affresco l'incisione.
Il mastio rotondo è un tema caro a Dürer, visto che compare in un disegno bellissimo dell'Ambrosiana che illustra un'opera fortificata tra montagna e mare, luogo e contesto non identificato e forse più verosimilmente immaginato dalla fervida fantasia dell'artista. Sicché nell'epicedio composto alla mostra del maestro Helius E. Heuss aveva ben ragione di scrivere: "Aptatis docuit ponere castra loci". Fondatamente Fara suggerisce che il trattato, edito a sei mesi dalla morte del pittore, abbia tra le sue fonti l'Arte della guerra di Machiavelli (1521), per le strette analogie che intercorrono nell'organizzazione della città fortificata, la quale, così come è concepita, nessuna relazione ha invece con i disegni utopici alla Tommaso Moro.
Lentamente Dürer matura la sua idea di città fortificata e passa, da un originario impianto circolare, a una forma perfettamente quadrata. Essa ha uno sviluppo di circa 700 metri, racchiude al centro il palazzo-fortezza del principe che ha la stessa forma; una maglia ortogonale di strade di diversa ampiezza e funzione definisce l'impianto urbanistico nel quale sono inseriti i corpi di fabbrica e le piazze. Il castrum vitruviano è il trasparente modello di riferimento. "Nella disposizione dei blocchi delle abitazioni e nella rigida divisione delle professioni all'interno dello spazio urbano - scrive Fara - Albrecht realizza uno dei grandi sogni degli uomini del Rinascimento: l'integrazione equilibrata delle professioni e mestieri nell'organizzazione generale della difesa urbana".
Nel descrivere i diversi tipi di fortificazioni di cui si illustrano i pregi e non si nascondo gli eventuali punti deboli, Dürer non manca di ricordare che tali imponenti opere sono un'occasione di lavoro essenziale per togliere dalla strada tanti inoperosi cittadini che possono trarre da queste imprese il sostentamento per una onesta vita. Dunque il trattato non è un arido strumento tecnico, ma ambisce ad essere un'organica opera che assegna al principe e ai sudditi un ideale di società armonica, vista attraverso il reticolo prospettico delle proporzioni architettoniche e umane. Questa sua filosofia Dürer la illustra con l'usuale icastica lucidità. "Nei territori dei grandi signori vivono molti poveri, che di solito si deve mantenere con l'elemosina: si dia loro una paga giornaliera e li si impieghi nella costruzione delle fortificazioni; non avrebbero in questo modo bisogno di mendicare, e diventerebbero anche tanto meno eccitati alla rivolta. È anche meglio, come può ben capire anche un intelletto limitato, che un signore spenda forti somme di danaro in costruzioni difensive, piuttosto che, vinto in battaglia dal nemico, venga cacciato dal suo paese". Il buon governo esige dunque queste opere che hanno un effetto di calmiere sociale.
Nell'articolazione dei diversi capitoli, così come in talune tavole, c'è l'eco di Alberti, di Francesco di Giorgio, di Fra' Giocondo, di Leonardo; ma a queste suggestioni evidenti Dürer conferisce un'incomparabile chiarezza che è nel testo e nelle splendide tavole che lo corredano. Dove aveva maturato tanta sapienza l'artista, come aveva attinto a queste fonti, attraverso quali vie aveva maturato quest'idea di città fortificata che sembra disegnata dal mitico Dedalo e ha la sapienza, propriamente strategica, di Machiavelli e di Vauban? Fara, che è figlio (d'arte) di uno dei maggiori studiosi di questo medesimo argomento, dedica uno dei più bei capitoli del suo volume al grande umanista norimburghese Willibald Pirckheimer che introduce il giovane Dürer al sapere della sua straordinaria biblioteca e assume la funzione di un Virgilio per la sua formazione. Il patrizio Willibald non solo è suo protettore e mecenate, ma diviene il suo migliore amico, e a lui Dürer dedica le opere teoriche, segno evidente del debito con lui contratto. Con lui impara a leggere Vitruvio e Alberti, grazie a lui si accosta a Machiavelli e a Luca Pacioli: quest'ultimo è forse - ipotizza Fara - l'anonimo maestro che l'artista incontra a Bologna nel 1506 per penetrare i segreti della prospettiva. Tramite Pirckheimer il pittore incontra a Norimberga nel 1502 Galeazzo da Sanseverino, uno dei maggiori esperti di fortificazioni del tempo, condottiero lui stesso, amico di Leonardo e protettore di Pacioli.
Fara ricostruisce con intelligenza e pazienza questa rete di relazioni e di amicizie e ricostruisce con grande finezza l'entroterra culturale di Dürer, il suo legame con l'Italia, la sua passione per l'arte della fortificazione, ma anche svela le fonti che nel trattato vengono così mirabilmente amalgamate per risolversi in una sintesi originale e suggestiva.

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