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Alfabeto degli amici - Nico Naldini - copertina
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Alfabeto degli amici - Nico Naldini - copertina
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Descrizione


Il lato privato che solo l'amicizia può svelare si mescola con l'aspetto pubblico delle opere: autori da scoprire o riscoprire, tra curiosità e aneddoti. Non voci da enciclopedia, ma racconti di un grande scrittore a confronto con i più grandi scrittori italiani in ritratti suggestivi e poetici. Un libro fatto di ricordi personali, di annotazioni illuminanti, di rapidi schizzi o di osservazioni meditate e riflessioni pungenti. Scorci inusuali, che illuminano il carattere e restituiscono la presenza viva dei protagonisti della letteratura e della poesia: Sibilla Aleramo, Pasolini, Parise, Ottiero Ottieri, Soldati, una straordinaria Elsa Morante e un irascibile Giovanni Testori, Kavafis, Penna, Saba, Zanzotto.
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Dettagli

2004
236 p., Brossura
9788883251382

Voce della critica

Una poetessa suicida, sul principio del 1960, incarica Nico Naldini di consegnare a Francis Bacon un culatello, approfittando di una gita a Londra. Naldini attende il pittore inglese nel suo albergo, con ansia impaziente, ma poi, in prossimità dell'arrivo, fugge via lasciando il pacco al concierge, preso da una "crisi di timidezza". Diremmo forse sommerso da un'ondata di sgomento di fronte all'imprevedibile, o piuttosto al probabile irrompere di un portatore di morte, di ininterrotta "mortalità", uno cui "il fetore del sangue umano sorride" (Eschilo citato da Bacon in un'intervista). La timidezza è certo dolce caratteristica di una personalità fine come quella di Naldini, ma qui crediamo ci sia qualcosa di più profondo. L'avversione - non brutalmente esplicitata ma avvertibile - per Bacon è parte di un sistema di simpatie-antipatie, o meglio compatibilità-incompatibilità, che emerge dagli interventi raccolti in questo bel volume Alfabeto degli amici.

Un sistema che vede in contrapposizione all'ossessione mortuaria di un Bacon la lucentezza vitalistica degli amati Comisso, De Pisis, Penna e altri. Ma anche nei confronti del cugino Pasolini, che per Nico ha avuto un ruolo straordinariamente maieutico, si percepisce una muta ammirata incomprensione. Con tutta la sua morte addosso, Pier Paolo non capiva talvolta la smania di Sandro Penna di mischiarsi coi ragazzini romani sul lungotevere in un francescano delirio di gaiezza. Penna "diffondeva in quei momenti la sua strana gioia di vivere, ma c'era chi ne restava fuori. Pasolini, per esempio. Più volte costretto ad abbandonare la cerchia festosa dove Sandro si manteneva sempre al centro e poiché nulla lo avrebbe smosso o sminuito, Pier Paolo, sentendosi incapace di competere, saliva sul primo tram che si fermava a Ponte Garibaldi, portandosi via l'aura del suo martirio".

Il ricordo più remoto che Naldini ha di Pasolini "maestro delle primule" risale ai tre anni di età: Pier Paolo, che ne ha sette di più, "si arrabbia moltissimo" con lui. Come se un misto di timore e di amore segnasse fin dall'inizio quel rapporto. Per Nico il Pasolini leggendario ed eroico è quello friulano, delle primule e dei temporali, appunto, il Socrate divino e agile dell'Academiuta, mentre quello romano e tardo gli appare il cupo incomunicante martire degli autoritratti di metà anni sessanta, dove "la barba lunga, i lineamenti scavati, gli occhi fissi e non affettuosi su chi lo guarda, sono i segni del suo ultimo male di vivere, come in certi ritratti di Géricault". E infine il regista di Salò ("l'incubo di Salò"), che si muoveva in un set tetro e imbevuto di disperazione, dove gli stessi membri della troupe e gli attori parevano contagiati dall'ossessività rituale mortuaria del film in lavorazione.

Fra i modelli positivi, luminosi, brilla di certo Comisso, per cui il biografo e delicato memorialista Naldini non esita a sbilanciarsi: "«Esagero se dico che Comisso era avvolto, come un dio, in una nube dorata che lo nascondeva o lo rivelava a seconda dei suoi desideri?", scrive. Il solo annunzio dell'arrivo dell'autore del Porto dell'amore generava nei suoi giovani ammiratori, quasi una corte entusiasta, un brivido avventuroso, un presentimento di "festa dionisiaca". Comisso è l'esplosione del vitalismo, nella sua complessità contraddittoria di capriccio, egotismo, impulsività, estetismo, eros, poesia, leggerezza.

Ma gli eroi della vitalità in Naldini vivono la suprema esperienza dell'estasi e della svagatezza e della bizzarria a un passo dal burrone, anzi, con la voluttà di danzare come Icaro in un'aria sempre più rarefatta e minacciosa. Così il grande pittore-poeta (anzi poeta-pittore) De Pisis, che avrebbe trascorso il declinare della sua vita in clinica psichiatrica: "La bellezza e la gioia del mondo, che egli aveva rappresentato come nessun altro artista, gli si erano rivoltate contro rivelando l'orrore che tenevano in serbo". In quella bellezza e in quella gioia c'è poi sempre la scintilla della sensualità, anzi la vampa, il " lumen in corpore " che avvince con un "terribile potere". Ad esempio i modelli del pittore, pugili o nuotatori, giovanotti-semidei nudi sulla pelle di leopardo in posa o invitati a una festa danzante veneziana "coperti solo da un guscio di granseola tenuto legato con uno spago" e poi decorati sulla pelle nuda da De Pisis con i suoi colori smaglianti (la festa finì in una retata della polizia e in una severa notte al commissariato, nonostante fosse il tempo della Liberazione...). Il cuore "assetato d'amore" di De Pisis palpita e si tuffa nella bellezza dei corpi, "unica cura", luce di carne, caglio di luce che lascia, come Saffo insegnava, senza respiro e pure induce una sempre maggiore smania di vivere.

La primavera perenne del desiderio e dell'erranza desiderante unisce così, nelle pagine di Naldini, protagonisti della poesia moderna come Spender, Isherwood, Auden, Chatwin, oltre a Penna, Comisso, De Pisis e infine Naldini stesso, che pur nella sua deliziosa timidezza si racconta sobriamente come un uomo del nord che agogna all'"aria mare musica vita" di Napoli e viaggia tra le oasi edeniche dei deserti africani e ospita a casa propria il giovane marocchino Rashid fino a ricevere la promessa di essere ospitato, dopo, nel paradiso islamico: "Un giorno ho chiesto a un giovane musulmano: 'E io dopo la morte dove vado a finire?'. Mi ha risposto: 'Tu vieni con noi'". Sulle tracce di Gide, parrebbe, ma con una più limpida "antieconomica" bontà (come quella del compianto Pontiggia).

NellÆAlfabeto degli amici troviamo un gran numero di personaggi, donne energiche malinconiche singolari come Morante, De' Giorgi, l'olimpica geniale e controversa Leni Riefenstahl, o la spia inglese Freya Stark, figure quasi mitiche come Sibilla Aleramo o intelligenze acute e taglienti come Renata Colorni. Un rilievo a parte ha Goffredo Parise, raccontato da vicino con quel gusto dell'aneddoto che ha la nobiltà ingenua di antichi conti e fiori di filosofi, poeti, cavalieri e imperatori: "Morì il giorno dopo aver assaggiato con molto gusto un cappuccino tiepido". Magnifica epigrafe per il poeta dei Sillabari.

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Conosci l'autore

Nico Naldini

(Casarsa, Pordenone, 1929) poeta e scrittore italiano. Ha lavorato nell’editoria, nel giornalismo e nel cinema. Ha pubblicato libri di poesie (Seris par un frut, 1948; Un vento smarrito e gentile, 1958; La curva di San Floreano, 1988), romanzi (I confini del paradiso, 2006), biografie: Nei campi del Friuli (1984), sulla giovinezza di P.P. Pasolini, Vita di Giovanni Comisso (1985), Pasolini, una vita (1989), De Pisis (1991), e ha curato due volumi di Lettere di Pasolini (1986 e 1988). Un’opera che mescola versi e prosa è Meglio gli antichi castighi (1997); in Alfabeto degli amici (2004) si confronta con i più grandi scrittori italiani in ritratti suggestivi e poetici.

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