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Anno edizione: 2007
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C’è stato un tempo in cui il nome di Nino Filastò veniva spesso affiancato a quello dei grandissimi Fruttero & Lucentini. Ed un libro come “La Moglie Egiziana” (1995), infatti, lo mise senz’altro in luce come uno dei migliori giallisti italiani. Autore abile e minuzioso, attento e sofisticato. Autore di sicuro valore e forse un tantino osteggiato a causa della parallela attività forense, oltre che per qualche saggio critico su metodi e prassi relativi alle tradizioni storiche della procedura penale in Italia. È quindi con non poca tristezza che, dopo aver letto questo libro, ci si arriva inevitabilmente a confrontare con una gran bella delusione. Una sotto-specie di thriller che sta tra il romanzo gotico e quello di fantascienza, dove pure sembra essere lo stesso scrittore, nel finale, ad alzare le mani ammettendo di non saper bene che pesci pigliare, pur di chiudere con dignità le evoluzioni, un po’ astruse e quanto mai tribolate, di questa sua ultima creazione. Nonostante qualche sprazzo interessante, sono altri i titoli di Filastò da dover leggere. C. Matar
L'alfabeto di Eden, romanzo di Nino Filastò edito da Hobby & Work in edizione cartonata nel Giugno del 2007. Il sottotitolo lo cataloga come thriller. Un thriller certo, nondimeno originale, che segue di due anni quel saggio/fiction totale che è Storia delle merende infami. Filastò è uno scrittore di razza, dotato d'una lingua colta e scorrevolissima, a dimostrazione che l'intelligenza non sempre fa rima con "noia" e "pesantezza". Filastò ha dalla sua una sintassi ampia e un agio nel maneggiare trame, e plot, tanto che al suo confronto il gotha di genere italiano pare per quel che è: poca roba. Quest'opera, al momento l'ultima del nostro, prosegue appunto nell'ombra del thriller, genere già ampiamente frequentato (assieme alla fantascienza) dal nostro. Ci pare comunque arduo incasellare le 367 pagine del testo. Si parte da una scomparsa - un archeologo d'una certa fama - e da qualcuno che, per diletto o per noia, si mette a cercarlo su di un'isola della Bretagna, luogo perpetuo nel tempo in un paese (l'allusione è comunque traslata sull'italietta) depresso e smarrito. La trama si apre a varie sotto-trame, a vari narratori. C'è il giornalista in pensione che fruga tra i file dell'archeologo. Ci sono i file dell'archeologo riguardanti una spedizione in Algeria avvenuta nel 1975, alla scoperta di un santuario che potrebbe riscrivere la storia delle religioni e diffondere un contagio regressivo e cannibalico (e qui si sconfina quasi nell'horror). Poi il libro cambia pelle senza che ce ne accorgiamo e introduce una riflessione pacata sulla letteratura fantascientifica e utopistica degli anni '70, affidando la scena a uno scrittore oscuro ed etilico di nome Flècher, quasi un Philip K. Dick trash. A questo punto il romanzo nel romanzo si contorna di miti di fondazione: un conflitto alla base della vita tra il bene e il male, tra perturbatori e guardiani, con l'isola come accumulatore d'energie arcane. Un capolavoro.
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