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La globalizzazione e la temperie economica hanno richiamato l'attenzione sullo sviluppo locale, sollevando dubbi circa la capacità delle piccole (e medie) imprese di reggere l'urto della concorrenza straniera e della spirale recessiva. Fu con la crisi del modello fordista – erano gli anni settanta – che i fari dell'indagine scientifica si direzionarono per la prima volta verso quel sistema alternativo alla produzione di massa che, dati alla mano, si era da poco imposto in alcune zone del nostro paese. Caratterizzato dalla presenza di distretti industriali analoghi a quelli a suo tempo descritti da Marshall (Becattini), gli studiosi battezzarono questo inedito modello "Terza Italia" (Bagnasco) o "Nec" (Nord-Est-Centro; Fuà).
Sorpresi dal quadro emerso dal censimento del 1971, i cui risultati avevano certificato l'esistenza di aree contraddistinte da una "industrializzazione diffusa", economisti e sociologi si misero alla ricerca dei tratti identificativi del nuovo fenomeno. Da quegli studi pionieristici emerse, in particolare, che le imprese distrettuali erano monosettoriali, di piccole dimensioni, a conduzione familiare e per lo più presentavano forti legami con il mondo contadino. Tuttavia, sociologi ed economisti non colsero il rilievo di due dimensioni in realtà determinanti per comprendere la natura della Terza Italia: il territorio e il tempo. A queste lacune avrebbero in seguito provato a porre rimedio gli storici, marciando a ritroso fino a individuare le origini di molti distretti non nella ripresa economica del secondo dopoguerra, bensì nelle esperienze protoindustriali del XVIII-XIX secolo. Sempre gli storici sottolinearono inoltre l'influenza esercitata in questo processo dall'ambiente locale, inteso come somma di fattori extraeconomici.
Pur collocandosi a pieno titolo all'interno di quest'ultima corrente di studi, il libro di Moroni si apre a un'efficace interazione fra gli stimoli derivanti dalla ricerca storica e gli elementi forniti dalle indagini economica e sociologica. A essere osservate sono le Marche, territorio del Nec che tra la fine del conflitto mondiale e gli anni ottanta rivoluzionò la propria struttura economica, passando da regione agricolo-mezzadrile a regione prevalentemente industriale. Ragionando sul lungo periodo, Moroni mostra tuttavia come alcuni dei casi considerati le radici di questa transizione risalgano a ben prima della fase postbellica e si rinvengano talvolta nella pluriattività tipica delle famiglie contadine otto-novecentesche, talaltra nell'artigianato urbano particolarmente attivo in alcuni centri marchigiani.
Cinque i distretti analizzati: l'argentiero (Loreto, Recanati), il calzaturiero (Fermano), il mobiliero (Pesarese), infine quelli degli strumenti musicali e della plastica (Anconitano, Maceratese). L'adozione di un approccio multidisciplinare permette, peraltro, di porre sotto la lente dello studioso una ricca varietà di aspetti che concorrono a tratteggiare i profili assunti dalle esperienze prese in esame: dal ruolo svolto dalle "istituzioni intermedie" (camere di commercio, sindacati, banche locali ecc.) al processo di meccanizzazione vissuto dalle imprese distrettuali, dall'importanza rivestita dall'innovazione tecnologica al peso esercitato dalla domanda estera.
Roberto Giulianelli
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