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Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche. Per esempio Maria Cristina Casanova & Dionisia Goss . Sono due pittrici , due migliori amiche. Fino a quando non vogliono lo stesso pennello. Quello che da una pennellata sull' altra metà dell'avanguardia 1910-1940. Vergine Lea ha scritto un'opera d'arte indiscussa.
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Fra il 1980 e il 1981 Lea Vergine realizzò una mostra che transitò a Milano, Roma e Stoccolma esibendo quattrocento lavori di oltre cento artiste europee, russe e americane, appartenenti alle avanguardie storiche; proprio quando, tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, il femminismo italiano viveva un periodo determinante: da movimento cominciava cioè a organizzarsi nei centri di studio (è infatti fra il 1978 e il 1981 che vennero fondati quelli di Bologna, Venezia e Roma).
A tutt'oggi, nonostante siano trascorsi venticinque anni, nessuna esposizione analoga e di pari ampiezza ha fatto seguito a quell'evento, la cui attualità è quindi rimasta intatta, pietra miliare per quella branca dei gender studies che indaga l'espressione artistica al femminile. La mostra non era peraltro la prima completamente dedicata alle donne: nel 1977, a Los Angeles, le storiche dell'arte Ann Sutherland Harris e Linda Nochlin avevano infatti presentato una rassegna focalizzata sulle pittrici attive dal sedicesimo al ventesimo secolo, comprendente un'ottantina di opere. Il ruolo principe giocato da entrambi gli eventi era teso alla riabilitazione di figure artistiche femminili attraverso la diffusione della conoscenza "degli esiti raggiunti da alcune splendide artiste la cui scarsa fama si può in parte ricondurre al loro sesso", approfondendo "le ragioni, nonché le circostanze del primo apparire (...) di quel raro fenomeno che fu la donna artista" (Sutherland Harris, Nochlin), nonché la scoperta della "metà suicidata della creatività" (Vergine).
Testimoniano l'intenso lavoro di individuazione, raccolta, contestualizzazione e interpretazione di opere e documenti i cataloghi che avevano corredato queste mostre, testi tutt'ora imprescindibili per chi voglia affrontare l'argomento, e in cui per la prima volta schede biografiche accurate - scevre da misogine note di costume - si accompagnavano a splendide immagini atte a confermare la tesi centrale delle autrici-curatrici, ossia che la ricerca formale non abbia sesso; diretta conseguenza di tale assunto è che le opere di un uomo e di una donna non possano essere distinte, come la stessa Vergine affermava: "A parità di livello qualitativo, non riesco a vedere diversità alcuna" (1979). L'eredità derivata da tali esperienze è di vastissima portata: l'interesse scaturito nei confronti dei soggetti presi in esame si è concretizzato in una lunga serie - niente affatto esaustiva - di studi, pubblicazioni ed esposizioni, in tutto il mondo. Se i tempi siano maturi per colmare finalmente la tanto lacunosa storia dell'arte femminile non è dato sapere, certo è che la ricostruzione genealogica realizzata da Lea Vergine, riproposta in questa riedizione aggiornata del catalogo della sua mostra, rappresenta un ottimo sprone.
Il volume presenta l'impianto della prima edizione (Mazzotta, 1980) con l'introduzione di alcuni scritti inediti: alle biografie - perfezionate o semplicemente aggiornate e suddivise in undici sezioni, una per ogni gruppo o movimento con particolare riferimento all'espressionismo tedesco e al cubo-futurismo russo - segue la lettera apotropaica inviata da Giovanni Lista a Lea Vergine, vero e proprio trattato indagante le ragioni della presunta "superiorità biologica e intellettuale dell'uomo" e "la problematica che ruota intorno al tema della donna e dell'arte"; completano il testo il racconto della genesi della mostra "L'arte ritrovata" e una nuova postfazione dell'autrice, che tira le somme circa l'attuale situazione delle artiste da lei contemplate. E se alcune di loro - fra le altre, Carol Rama, Marianne von Werefkin e Frida Kahlo - hanno ottenuto "un risarcimento" per i tanti anni di oblio, moltissime sono quelle che Vergine ci esorta a riscoprire: come le sorelle Ender, Boguslavskaja, Vera Pestel', Natal'ja Dan'ko, Nina Kogan, Hannah Höch, Jenny Wiegmann, Ruena Zátková, Jessie Dismorr, Marthe Tour-Donas, Erma Bossi, Alice Halicka, Kate Diehn-Bitt, Kay Sage, Jacqueline Lamba e Ithell Colquhoun.
La ricostruzione capillare e archeologica della partecipazione delle donne ai gruppi, profeticamente avvertiti da Vergine quali sovversivi dell'ordine precostituito dell'arte, e non solo per il ruolo svoltovi dalle donne - le cui energie si sono rese per la prima volta tanto manifeste in campo teatrale, fotografico, cinematografico, oltre che nella grafica e nelle arti decorative -, si pone al di là di una logica di femminismo militante; volta a una selezione rigorosamente legata alla qualità e alla rilevanza storico-artistica dei soggetti presi in esame, l'autrice sdegna i censimenti secolar-sessuali, che tuttavia, in questa troppo lenta e prolungata fase di riappropriazione del passato femminile, sono ancora necessari. Vergine si apre inoltre al dialogo, contraddicendosi rispetto ai propri precedenti assunti: alla domanda "in cosa si differenzia l'arte delle donne da quella degli uomini?" risponde ora che, sì, effettivamente la distinguono "l'autoironia, il sarcasmo, il coraggio". Alle artiste contemporanee riconosce poi una spiccata coscienza del legame fra la realtà e la questione femminile e un superamento della problematica stessa, nella volontà dei soggetti di tramandare e preservare la memoria, di testimoniare "del presente al presente". L'augurio è che qualcuno raccolga finalmente il testimone, permettendo a tante altre voci femminili dei secoli passati di farsi udire.
Allegra Alacevich
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