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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2010
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Sofferta autobiografia che presenta con lucidità e senza filtri la vita dell'autore. La prima parte, relativa alla giovinezza e al difficile rapporto di Enquist con la madre e la religione, è di valore assoluto e lascia sbalorditi. La seconda parte, piu' "politica", appare ostica e a tratti oscura per chi non conosca a fondo la società e la politica svedese dell'epoca. La terza parte narra il dramma dell'alcolismo e la sofferta battaglia dell'autore per liberarsene: pagine di alto livello che non risparmiano dettagli crudi e realistici. In sintesi Enquist presenta una impietosa e impressionante analisi di sè stesso e della sua vicenda personale. Lettura impegnativa che mi sento di consigliare.
"E' un sognatore normativo, beve fino a immergersi in un futuro possibile". Drammaticamente presente come un respiro coscientemente sofferto, indispensabile come una virgola nella costruzione di una storia, l'alcool scandisce metà del libro con una presenza di una sincerità sconcertante. Vale da sola questa parte a nobilitare l'etica dell'autore, capace di spingersi nei più disarmanti eccessi del ridicolo, del bieco, della nuda umiliazione sociale, per poi tessere sulla pagina il dono di un uomo ai bordi della distruzione. C'è poi tanto altro in questa autobiografia narrata in terza persona, che scorre nella lettura nonostante la corposità d'insieme. Ed Enquist adopera questa coniugazione quasi a scansarsi con grande rispetto da una comoda vanità dell'io che avrebbe tranquillamente potuto volare dai cieli dell'ammirazione mondiale per i suoi scritti, il suo teatro, ai bassifondi commiseranti della sua disperazione etilica. Infanzia e ricordo si muovono in un succedersi di alternanze storiche di prima importanza, la Berlino libera dell'89 e la stessa di Ulrike Meinhof, anime di rara meraviglia come Ingmar Bergman compaiono nel testo come aureole umilissime che spezzano nella consapevolezza ogni sfida al mestiere teatrale, lo sport come tragedia e limite oltre la nobile facciata di una prodezza, quando a Monaco nel '72 ci furono le sette tristi medaglie di Spitz e la cronaca di una strage epocale. Un mondo che incrocia uno sguardo, come accade al mistero che soffia e cala nella penna i tonfi e le grandezze di un vivere e un sentire. "La sonnolenza alcolica lo avvolgeva come un coprivivande", ma anche il gesto che sovverte l'asciutto nell'umido, l'improvviso di una felicità che dirompe di colpo nel padre ascoltando al telefono le parole della figlia: "Disse che lo ammirava perché malgrado tutto ci stava provando un'altra volta". Dirà Enquist a commento di questo: "A volte una parola è quella giusta, anche se non ha niente di straordinario".
Interessante biografia scritta da Enquist, che percorre tutta la sua vita, dagli anni '30, nel villaggio in cui nacque, nel nord della Svezia. Viaggi, esperienze politiche e letterarie, vivide descrizioni della propria famiglia, i rapporti con la religione, i contatti con il comunismo sovietico e della DDR, la tragedia degli atlati istraeliani a Monaco 1972, la banda Baader-Meinhof, e tanto altro, specie sulla politica svedese. Un viaggio istruttivo su cose e persone dimenticate o poco conosciute. Non mi è piaciuto lo stile narrativo, poco scorrevole, che obbliga - secondo me inutilemnte, e solo in base a un vezzo tipico da intellettuale - il lettore a notevoli sforzi di concentrazione, abbastanza spesso.
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