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Trovo Lindon sempre interessante nei suoi ruoli, e neanche questa volta si smentisce.
Il dirigente di stabilimento Philippe Lemesle si trova davanti a un bivio personale e professionale. Il suo matrimonio è ormai al capolinea e il figlio è ricoverato in una struttura a causa di numerosi problemi psichici, mentre la multinazionale per la quale lavora vuole che in breve tempo presenti una ristrutturazione aziendale che riduca il personale di 58 unità. Stéphane Brizé, regista ormai specializzatosi in pellicole di denuncia, riparte ancora da Vincent Lindon per completare una trilogia dedicata sia al mondo del lavoro sia al mondo d’ oggi. Dopo La legge del mercato (2015) e In guerra (2018), si parla ancora di problemi di fabbrica e di perdita di posti di lavoro ma possibilmente non della dignità dei protagonisti. Se nel primo si narrava della ricerca del lavoro da parte di un uomo non più giovane e nel secondo della chiusura inattesa di uno stabilimento con le barricate sindacali del caso, questa volta si trattano la vita e le scelte che devono essere compiute da un uomo preso fra due fuochi, un dirigente rispettato sia dai propri dipendenti sia dai vertici della multinazionale per la quale ha sacrificato anche la propria vita affettiva. Immolata alla causa dell’espansione di una multinazionale americana della produzione di elettrodomestici. Un uomo costretto dalla direzione a dover sacrificare il 10% della forza lavoro per mantenersi sulla scia degli altri stabilimenti francesi. Philippe Lemesle, nelle mani di Lidon, diventa la logica prosecuzione dei precedenti protagonisti in una narrazione realistica ma molto consolatoria di come siano le forze in gioco all’interno delle aziende. Di come siano i retroscena nella vita di chi deve prendere decisioni anche impopolari e di come possa essere velocemente frainteso da chi incontra tutti i giorni al lavoro. Ottima prova di tutto il cast con una menzione particolare per Sandrine Kiberlain nel ruolo della signora Lemesle.
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