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Tanto atteso ma poi un po' deludente. Il contenuto certo tocca il cuore davvero nel profondo, come profondo è l'abisso nel quale è precipitata neanche troppo lentamente Amy negli ultimi anni della sua vita; dal punto di vista tecnico e artistico però sconta il paragone con l'opera su Kurt Kobain, con la quale "Amy" non regge il confronto, in questo caso la sensazione è che il lavoro sia decisamente più dilettantistico.
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10 febbraio 2008, cerimonia di consegna dei Grammy Awards. Una Amy Winehouse in piedi sul palco ascolta da Los Angeles la cinquina di titoli nominati nella categoria Record of the Year. Quando lo speaker scandisce What Goes Around… Comes Around di Justin Timberlake, lei incredula si gira di scatto e chiede alla band:«ma qualcuno può aver intitolato veramente una canzone così?». L’essenza di Amy è tutta qua. Inevitabilmente stravincerà, conquistando 5 premi e regalando una serie di sguardi felici (sempre e comunque velati di malinconia) che ne contraddistingueranno la precoce parabola.
Ed è proprio quello sguardo che il regista Asif Kapadia vuol catturare nel suo documentario Amy: non un semplice omaggio ruffiano e un po’ semplicistico, ma un racconto costruito attraverso immagini d’archivio, tanta musica (con alcune chicche inedite) e soprattutto le voci di chi ha conosciuto la cantante britannica. Testimonianze che sono giustamente lasciate fuori campo – nessuno dei personaggi è mai mostrato mentre racconta – proprio per non distogliere mai l’attenzione da ciò che più conta: l’artista e il suo lavoro.
E chissenefrega delle polemiche con la famiglia, dei pareri raccolti da persone che l’hanno frequentata poco o del dibattito sul rischio mitizzazione di una bulimica che abusava di droga e alcol. Ciò che conta è l’emozione profusa da Back to Black sparata a tutto volume nelle casse del cinema (un consiglio: scegliete la sala soprattutto in base all’impianto audio). Una via crucis emozionale che procede ineluttabile come la puntina del giradischi, condotta verso la fine dai solchi a spirale del vinile. Ma anche questo non importa. A differenza della vita, la musica e il cinema possono sempre essere fatti ricominciare.
Recensione di Andrea Pesoli
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