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L'editore Passigli ha pubblicato (con un'interessante prefazione di Marilena Rea) un'antologia delle poesie d'amore scritte da Boris Pasternak tra il 1913 e il 1956. Vi ritroviamo tutta l'intimità pudica, la cura dei dettagli più trascurabili, la sensibilità per le sfumature dei sentimenti, l'attenzione per la natura caratteristiche dello scrittore georgiano. In un'atmosfera che rimane, ovviamente, quella della sua amatissima madre Russia, il clima sembra non prediligere mai i chiarori soffocati delle estati, le luci afose del mezzogiorno: invece sempre albe o tramonti, nebbie e piogge, brine e nevi, autunni o inverni. Pertanto nella descrizione minuta della vegetazione circostante, scopriamo sì qualche salice, pioppo o castagno, ma soprattutto vengono menzionate con particolare delicatezza le erbe del sottobosco, i fiori dei prati, le piante medicinali. E tra gli animali, non sono quasi mai raccontati quelli di medie o grandi dimensioni, piuttosto gli insetti, gli uccelli dai colori meno appariscenti, dall'esistenza più fragile e fugace. Così è anche dell'amore, narrato quasi con esitazione, evitando qualsiasi facile retorica, descrivendo più le lontananze che gli avvicinamenti, più il passato che il futuro: "Anch'io ho conosciuto l'amore, e magari lei / è ancora viva, chissà //...folleggia il passato, fingendo di non sapere / che non abita più in mezzo a noi"; "Non come servo, non asfissiante, / non di continuo - forse in tutto due volte / ti ho supplicato //...Neppure tu sopporti gli intrugli / di lagne servili e confessioni". La passione, per essere degna di descrizione, deve essere sfebbrata, decantata in un sentimento più discreto, mai proclamato ad alta voce. Anzi, preferisce il silenzio, la lettera o la foto inviata da chissà dove, piuttosto della presenza concreta. "Amore, cuore, per sempre" paiono termini abusati, insopportabilmente artificiali: "È banale la parola amore, hai ragione. / Mi inventerò una parolina diversa".
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